Il lavoro agricolo è spesso un corpo a corpo, un conflitto a bassa soglia permanente tra chi eroga la forza lavoro e l’organizzazione dell’attività produttiva. Ma è un corpo a corpo anche con la struttura legislativa e istituzionale, difficilmente orientata a sostenere il lavoro e, tanto meno, la sua riproduzione quotidiana, ad esempio con specifiche politiche della casa.

È SU QUESTA CENTRALITÀ del corpo, della fatica, dell’esposizione fisica che si concentra la ricerca e il libro di Giuliana Sanò, Fabbriche di plastica. Il lavoro nell’agricoltura industriale, edito da ombre corte (pp. 235, euro 20). L’autrice, antropologa attiva in diversi progetti e centri di ricerca in Italia e all’estero, presenta in questo testo un’importante etnografia, condotta, in coppia con Valeria Piro, in un distretto agricolo della Sicilia sud-orientale, nell’area definita Fascia Costiera Trasformata, compresa tra Licata e Pachino. La due ricercatrici hanno lavorato per alcuni mesi in agricoltura, fianco a fianco con braccianti italiani e stranieri, dedicando la loro attenzione di studio soprattutto alla condizione di questi e queste ultime, prevalentemente di nazionalità rumena.
La ricerca presentata è parte del movimento di studio che in Italia, come in tante altre parti del mondo, sta approfondendo le condizioni di lavoro e vita della manodopera inserita nell’agricoltura capitalistica globale, individuando nella componente del lavoro migrante non solo caratteri specifici, ma anche una centralità strutturale, nel senso della dipendenza della produzione agricola mondiale, compresa quella italiana, dal lavoro dei braccianti migranti nazionali o internazionali.

QUESTO DATO ormai costitutivo dell’agricoltura contemporanea si collega con una serie di condizioni istituzionali e normative, oltre che di processi economici e sociali, che influenzano la strutturazione delle migrazioni. Esso, però, va anche compreso osservando il modo in cui le migrazioni vengono assorbite dai singoli socio-territoriali, caratterizzati da specifiche storie e relazioni di potere a livello locale.

L’INSIEME DI TRAME sociali e istituzionali è stato indagato in profondità dalla ricerca etnografica di Giuliana Sanò, che ha organizzato il libro in sei parti, distinguendo l’introduzione, tre capitoli, la ricchissima appendice metodologica e le conclusioni. Sono proprio le relazioni di potere dentro e fuori i luoghi di lavoro ad essere studiate in modo privilegiato. Alla fatica del lavoro sotto le serre e nei magazzini, aggravata dalla sistematicità del lavoro grigio (ore ordinarie e straordinarie non pagate come da contratto, ridotto numero di giornate lavorative dichiarate, durata della giornata lavorativa non rispettata) e dal ricatto del lavoro nero e della disoccupazione, si accoppiano le difficoltà del vivere, dell’accesso alla casa, della segregazione spaziale. In questo contesto, però, sono continue le resistenze e le negoziazioni per vivere meglio da parte delle e dei braccianti, per ridurre lo sfruttamento ma anche la soggezione patriarcale e di classe e l’isolamento sociale e politico.

«È la relazione tra il sistema del lavoro e il fare quotidiano di questo» a essere al cuore di questo libro, in cui l’agricoltura industriale fondata sul sistema delle serre risulta l’esito di una molteplicità di pratiche e rapporti di forza che combinano in una maniera non distinguibile con precisione le strategie e tattiche dei diversi attori coinvolti, delle istituzioni, della politica, dei lavoratori e delle lavoratrici, delle imprese. In definitiva, forme specifiche di sfruttamento caratterizzano i rapporti di produzione di questa agricoltura industriale della Sicilia sud-orientale, ma le pratiche di resistenza e le tattiche di riappropriazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori sono continue e senza sosta.