Non vorrei aggiungere detersivo ai panni sporchi lavati in pubblico da Daria Nicolodi sul suo difficile rapporto con la figlia Asia Argento, ma dietro quella lite amplificata sui social network si nasconde una questione spinosa e antica, ovvero quanto può essere bello, ma anche difficile, il rapporto con la propria madre. Riassumo brevemente la vicenda per chi non segue i pettegolezzi sulle cosiddette celebrità. Asia Argento, cacciata come giudice da quei moralisti di XFactor dopo le dubitevolissime accuse di stupro lanciatele da Jimmy Bennett, viene fotografata mentre bacia l’iper tatuato Fabrizio Corona.

La madre di Asia, Daria Nicolodi, le fa sapere via twitter che trova i due piuttosto patetici. La figlia le risponde in privato con messaggi insultanti e pesanti, che non riferisco per non dare corda al voyerismo. La madre li rende pubblici, la figlia le chiede scusa per averle rivolto quelle parole, ma sottolinea anche che non si divulgano messaggi privati perché i panni sporchi si lavano in famiglia. Nicolodi non si ferma e, nell’ultima puntata della socialnovela, aggiunge benzina al fuoco dicendo che non accetta che la figlia stia con quel signore, e giù a riferire altri particolari dolorosi e privati.

Benché nemmeno a me piaccia quel soggettone di Corona, va detto che sono affari di Asia Argento decidere chi frequentare, che se insulta sua madre in privato la cosa non è edificante, ma non lo è nemmeno trovare i suddetti insulti spiattellati ai quattro venti a sua insaputa. Le famiglie sono piene di panni sporchissimi e la vecchia convinzione che andrebbero lavati in famiglia ha prodotto danni pesanti, soprattutto sulla parte che subisce maggiormente il potere patriarcale, ovvero le donne i bambini. Lavare in casa o in famiglia i problemi, in molti casi vuol dire ricorrere a una soluzione fai-da-te che non dà voce alle esigenze del più fragile, ma le soffoca.

Chi ha visto le proprie madri schiacciate dalle imposizioni di genitori o mariti sa quanto ciò può essere devastante perché si assiste alla negazione della soggettività. In questi casi la salvezza può arrivare da chi sta fuori dalla famiglia (un’associazione antiviolenza, uno psicologo, un’analista, amicizie, un lavoro), ovvero tutto ciò che offre ascolto e appoggio mostrando altre opportunità. È un percorso doloroso e difficile di confronto/scontro con se stessi, i propri fantasmi, le relazioni e non lo si può praticare in pubblico, ma nell’intimità di un ambiente protetto, al riparo dal chiasso.

La madre, proprio perché è colei che dà la vita, nutre, cresce, insegna e accudisce, è anche un simbolico. Se quel simbolico è difettoso, malato, distopico o sofferente produce difficoltà nel migliore dei casi, disastri nel peggiore. Tutte abbiamo fatto, e facciamo ogni giorno, i conti con la figura materna percorrendo una strada irta di ostacoli, opportunità e cambiamenti. Tutte siamo passate attraverso sentimenti di amore, condivisione, distanza, insofferenza, recupero, solidarietà con le nostre madri.

Qualcuna di noi le ha solo amate, altre detestate e odiate, altre ancora si sono allontanate e riavvicinate e non è un caso se molte autrici hanno trasferito nella narrazione quel complesso rapporto. Altre lo faranno perché è una materia che non si esaurirà mai. Il femminismo ha inventato la pratica dell’autocoscienza, quel ritrovarsi fra donne e raccontare ad altre, capaci di ascoltare e condividere, il proprio vissuto. Lì dentro si può anche confliggere, che è ben diverso dal mettere in piazza insulti e rancori. Quello serve solo a far spettegolare i guardoni.

mariangela.mianiti@gmail.com