Cultura

Fra le mani, i quaderni dei reparti aperti

Fra le mani, i quaderni dei reparti apertiL’ospedale psichiatrico Materdomini, prima di essere convertito in casa-famiglia, foto di repertorio – Ansa /Luigi Pepe

Scaffale «Altro nulla da segnalare» di Francesca Valente, pubblicato da Einaudi

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 30 agosto 2022

C’è un momento struggente nel libro di Francesca Valente, Altro nulla da segnalare (Einaudi, pp. 224, euro 17): siamo nel 1999, e quello che viene definito il «residuo manicomiale», cioè le persone che dopo il 1978 non hanno avuto un luogo in cui tornare, sono costrette a lasciare le comunità dove hanno vissuto dopo la chiusura dei manicomi. Luoghi spesso sorti proprio accanto agli ospedali psichiatrici, dall’altra parte del giardino, magari, a segnare quanto poca distanza occorresse percorrere per trasformare la propria vita di reclusi in una vita da esseri umani.

QUESTO, SCRIVE Valente, è stato il momento in cui è stata tradita la promessa di Franco Basaglia, cioè la libertà di scelta dei pazienti. Un patto tra loro, medici e assistenti «per il quale il luogo in cui gli ex internati avevano scelto di vivere, dopo un lungo e faticoso lavoro di restituzione della fiducia in sé stessi, sarebbe stato la loro casa per sempre». Una deportazione: donne anziane, ex degenti dimesse da anni dal manicomio, costretti a lasciare quelle che avevano eletto come la loro casa. Una storia davvero troppo poco conosciuta che ha segnato come uno spartiacque il post-180. In questo senso, il libro di Valente è un documento prezioso, oltre che un bellissimo testo letterario.

L’AUTRICE SI TROVA, un giorno, fra le mani, i quaderni che lo psichiatra Luciano Sorrentino ha fatto redigere dagli infermieri che con lui hanno reso possibile uno dei primi «reparti aperti» dopo la chiusura dei manicomi. I «rapportini» degli infermieri dell’Ospedale Mauriziano di Torino sono gli appunti nei quali si racconta, in sintesi, cosa è accaduto giorno dopo giorno. «29/5/80 mattino. Il sig. Nanni è uscito dal servizio saltando dalla finestra del bagno, per cui si concorda con il dott. Sorrentino di tenere la porta aperta in quanto si evita che possa farsi male. Pregnoleto-Marino-Caruso».

QUANDO NEL 1978 viene promulgata la legge 180 i manicomi sono in larga parte una realtà da smantellare da capo a piedi: è vero, in molti reparti le cose hanno iniziato a cambiare da almeno un decennio, grazie alla rivoluzione della psichiatria democratica (che lo stesso Franco Basaglia non vuole che si chiami anti-psichiatria) ma, insomma, il più è ancora da fare. E si rivela molto più complicato del previsto, non solo perché fra gli psichiatri e gli infermieri i «basagliani» sono una minoranza, ma anche perché le famiglie di molti malati non vogliono, non possono, non sanno come riprendersi uomini o donne che stanno in manicomio da decenni, alcuni addirittura dall’infanzia.
Spesso accade che i pazienti stessi chiedano di restare in reparto, perché ora il reparto è «aperto», si può uscire e però poi rientrare, in un luogo dal quale sembra impossibile allontanarsi, perché ancora camminare con le proprie gambe pare impossibile. Poi alcuni di loro vanno a vivere in piccole comunità allestite non lontano dal corpo centrale dell’ospedale psichiatrico, magari soltanto dall’altra parte del giardino, e continuano ad essere seguiti dagli stessi medici ma anche a misurare i confini della propria libertà, giorno dopo giorno. Per chi in manicomio c’è entrato da bambino non è semplice, non è scontato, e nei quaderni di appunti degli infermieri le incertezze, gli incidenti, persino le violenze di chi «dà di matto» appaiono segni di vita se messi in confronto con quello che accadeva entro le mura del manicomio fino a pochi anni prima.

IN MEZZO a questa umanità fragile si muove con delicatezza ma deciso Luciano Sorrentino, lo psichiatra che dedicherà tutta la sua vita ai servizi territoriali consapevole, come scriverà Basaglia poco prima di morire, che il manicomio forse tornerà a manifestarsi in forme nuove o magari le stesse, per questo occorre esserci, presidiare, documentare cosa è stato fatto e come.
Sorrentino non è solo, con lui colleghi e infermieri, fra loro c’è Tornior, una figura luminosa alla quale, giustamente, Valente dedica un capitolo a parte: a metà 1984, quando Sorrentino si dimette perché ritiene incompatibili con lo spirito della 180 alcuni provvedimenti dell’ospedale dove lavora, Tornior decide di restare, mandando al diavolo ogni medico che gli chieda di legare un paziente. Presto anche lui raggiungerà lo psichiatra ai servizi territoriali, «rivoluzionario silenzioso», come i tanti che hanno attuato la riforma concretamente, senza mai smettere di crederci.

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