A Nord Est, la bussola appare sprovvista di ago: la calamita della propaganda, la forza degli stereotipi, il perno del senso comune magnetizzano tutto. Da Bolzano a Venezia o da Trento a Trieste il «quadrante» è uno scudo araldico che difende la solita storia dalle storie critiche, diverse, urticanti.
Per fortuna, con il pretesto dell’anniversario secolare, Wu Ming 1 ha ripreso in mano la sua «ascia di guerra» e disboscato un bel po’ di retorica, non soltanto militaresca. Prima con il reportage a puntate per Internazionale e poi con la stesura di Cent’anni a Nordest. Viaggio tra i fantasmi della guera granda (Rizzoli, pp. 272, euro 17). Da cantastorie, offre «tossine narrative e racconti alternativi ai miti del potere». E restituisce alla tanto sbandierata «memoria condivisa» fantasmi eroici, morti scomodi, disertori speciali. Finché l’ipnosi istituzionale non confessa e le cerimonie monumentali fanno posto anche alle troppe rimozioni.

È davvero un libro di testo in senso stretto. Wu Ming 1 scala una montagna di documenti, cammina lungo ben altre trincee e ricuce le amnesie con i fatti. Fronte friulano, 1 luglio 1916: Gaetano Ortis (già medagliato) e altri tre soldati passati per le armi perché non volevano suicidarsi in un assalto folle. Noventa Padovana, 3 novembre 1917: Andrea Graziani fa fucilare il soldato che non smette di tenere la pipa fra le labbra al suo passaggio. San Rocco di Piegara, comune di Roverè sui monti veronesi: Alessandro Anderloni, 36 anni, vedovo, padre di una figlia di due anni, torna dalla trincea e viene ammazzato dai carabinieri. Non andrà meglio all’omonimo discendente che nell’Italia del Duemila mette in scena Al disertore con raffica di scandalose reazioni.
Episodi? Sono stati oltre 100mila i processi militari, spesso più che sommari. Eppure la petizione a Napolitano, Pinotti e Renzi non ha scalfito l’omertà né la predisposizione sussidiaria al patriottismo altrui.

Cent’anni a Nordest rappresenta l’antidoto di assoluta attualità nello scenario di questa zona speciale: «La pianura veneta è divorata dalla psoriasi del mattone e del cemento. Il Nordest è figlio della guera granda in ogni suo aspetto, a cominciare dal paesaggio». Nel 1918, il Trentino si ritrovava con quasi due terzi della superficie coltivata distrutti, con metà bestiame ucciso e un’ombra di filari di vite. Oggi il sociologo Christian Arnoldi scruta la «socialità schizofrenica» frutto dell’intermittenza di una vita che oscilla dall’euforia nel calendario turistico al deserto dei mesi in comunità. È proprio la percezione di realtà che va in tilt. Nel 2018 a Trento si raduneranno gli alpini, simbolo dell’Italia e della nostalgia ai piedi delle Dolomiti. Peccato che all’epoca ci fossero anche 55mila trentini arruolati nell’esercito imperial-regio…

Wu Ming 1 va dritto al punto ogni volta che al ventaglio dell’anti-retorica si aggiunge un nuovo piccolo pavese di memoria resistente. Se Cadorna andrebbe abolito dalla toponomastica, non si può certo dimenticare che il sacrario di Redipuglia fu inaugurato il 18 settembre 1938 mentre Mussolini a Trieste «spiegava» le leggi razziali. Per non parlare di Bolzano, che si fregia della monumentalità di regime e bandisce concorsi incapaci di far vincere il buon senso…
Personaggi, luoghi, storie che in Cent’anni a Nordest esaltano la naturale predisposizione alla subalternità, frutto di ignoranza storica quanto di impotente risentimento. Ecco così la devozione postuma ai baffi di Cecco Beppe, l’infatuazione «padana» per il governatore Jörg Haider o la rifrittura euroasiatica con Vladimir Putin. Ma «Zar e Kaiser hanno la stessa radice di Cesare» e, soprattutto, i manuali ricordano come il doge della Serenissima incarnava l’incubo peggiore o lo stesso Regno Savoia il caterpillar delle identità sudtirolesi.

Cent’anni a Nordest poi radiografa perfettamente l’altra faccia di Trieste «irredenta» che fa il paio con i recenti rigurgiti dell’ «indipendentismo». E illumina a giorno le macerie della conquista di Gorizia, urbicidio simile a quello patito da Mostar nella guerra in Bosnia. Ma non transige nemmeno con Touring e Cai in versione «ExpoGuerra», grazie alle narrazioni alpinistiche non allineate.
Alla fine, si impara qual è il fulcro dell’intero quadrante che era Tre Venezie nell’Ottocento e Triveneto come «modello di sviluppo». Ora a Nord Est bisogna fare i conti, e fino in fondo, con due destre capaci di calamitare più di qualche «rottamatore democratico». Wu Ming 1 evidenzia a tutti noi le caratteristiche, l’ideologia e le derive di una simile morsa. Da una parte, la destra italianissima che già sul Piave ha rivendicato un’identità di nazionalismo perenne. Dall’altra, la destra autonomista, indipendentista, austronostalgica e a tratti neo-nazista. Ed è proprio con Cent’anni a Nordest che, almeno, si sa quanto cruciale sia sempre quest’area di confine, di anomalie e di renitenza alle leve del potere. «Bentornati, fantasmi della diserzione».