Barconi carichi di migranti allo stremo delle forze continuano ad essere avvistati nel canale di Sicilia, mentre Barack Obama incontra Matteo Renzi e poi avverte: “Il problema libico non si risolve solo con attacchi di droni o operazioni militari”. Ma la giornata di ieri è stata caratterizzata anche da un intervento della marina italiana per impedire il sequestro di un peschereccio di Mazara del Vallo. Si tratta dell’Airone, motopesca con sette uomini di equipaggio, che si trovava a 50 miglia marine dalla costa di Misurata, in acque internazionali, quando poco dopo l’alba è stato bloccato da un rimorchiatore.

Dal peschereccio italiano è partito un allarme raccolto dalla fregata Bergamini, unità della Marina in pattuglia nel canale di Sicilia. Una volta sul posto, la nave militare ha messo in acqua un gommone arrivato velocemente sottobordo. “Verificate le condizioni di sicurezza – ha riepilogato lo stato maggiore della Difesa – e dopo aver informato l’autorità giudiziaria, in stretto coordinamento con il comandante del peschereccio e in collegamento con il comando di ‘Mare Sicuro’, personale della marina è intervenuto per acquisire il controllo del natante”.

I militari sono saliti sull’Airone anche grazie all’aiuto dell’equipaggio, tre italiani compreso il comandante Alberto Figuccia, e quattro marittimi tunisini. Bloccato il milite libico nonostante un imprevisto (lievi ferite a un piede a un marinaio tunisino), il comandante della Bergamini ha preso il comando del motopesca e ha subito invertito la rotta. Il peschereccio dovrebbe arrivare a Mazara del Vallo oggi, scortato dalla fregata dove è trattenuto il militare libico “in attesa delle decisioni della magistratura”.

Da Misurata è arrivata la protesta di Ramadan Al Moatiq, portavoce comunale della città della Tripolitania: “Il peschereccio ha violato le acque territoriali libiche e quindi era stato preso, come esige la sovranità della Libia, per essere avviato verso Misurata per interrogatori”. Al Moatiq ha sottolineato che ad agire “sono uomini della Guardia costiera libica riconosciuta internazionalmente, che costituisce un’antica istituzione legittima ufficiale dello stato libico”.

Anche a prendere per buone le parole di Al Moatiq, nella somalizzata Libia di oggi gli unici a muoversi liberamente sono i trafficanti di uomini. La notte scorsa a Lampedusa sono arrivati una settantina di migranti, per lo più somali ed eritrei, trovati su un gommone alla deriva. Venti di loro erano ustionati, e hanno raccontato di essere stati vittime di un’esplosione provocata da una bombola del gas in un centro di detenzione gestito dai trafficanti in Libia. Lasciati senza cure e costretti a salire sul gommone, sono rimasti alla deriva per due giorni prima di essere soccorsi. Nel corso del viaggio una donna, ferita, è morta, mentre altri cinque migranti erano rimasti subito vittime dell’esplosione.

Intanto a Pozzallo nel ragusano si concludevano le operazioni di sbarco di 301 persone, mentre la procura di Siracusa rendava noto di aver fermato dieci uomini del Gambia e del Senegal accusati di essere gli scafisti dei 592 migranti arrivati il giorno prima ad Augusta. In totale, ha puntualizzato la magistratura, erano i passeggeri di sei barconi partiti da Tripoli il 13 aprile e recuperati la notte del 14. I migranti hanno pagato ciascuno mille dinari, 700 euro circa, per il viaggio.

In questo contesto, l’incontro di Washington fra Obama e Renzi, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, non è andato oltre la comune consapevolezza delle difficolta nel districarsi nel pantano libico. “La situazione è molto difficile – ha detto Obama – e gli Stati Uniti e l’Italia continueranno a sostenere gli sforzi per un governo di unità nazionale, per fronteggiare le minacce dell’Isis. Ma il problema non si risolve solo con attacchi di droni o operazioni militari”. Intanto l’Ue continua a far finta di nulla, come dimostra il silenzio di fronte alla lettera di 25 europarlamentari, in gran parte del Gue–Ngl, ai commissari Avramopulous, Mogherini e Timmermans, con la richiesta della rapida istituzione di una “Mare nostrum europea” invece di affidarsi a Frontex.