Non era pensabile, nella primavera del 1947 che, messisi in società, quei cinque «avventurieri che erano mossi da un’etica» (definizione di uno che ne faceva parte: Henri Cartier-Bresson) avrebbero rappresentato in seguito il gotha del fotogiornalismo mondiale. Capa, Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour, e William Vandivert sono i fondatori dell’agenzia fotografica che dà il titolo alla mostra La nascita di Magnum, organizzata dalla stessa agenzia e ospitata in Italia presso il nuovo museo del violino di Cremona (fino all’8 febbraio 2015). Non è un viaggio sull’attività della Magnum Photos, tuttora operativa, attraverso i quasi sette decenni di vita con generazioni di fotografi succedutesi, ma sul periodo circoscritto degli esordi e dunque di coloro – ormai attorniati da un alone di leggenda – che la idearono fra un bicchiere di whisky e una coppa di champagne, il Magnum appunto.

Da grandi bevitori avevano cominciato ad apprezzarlo in Francia con l’apertura del fronte occidentale. Al rientro dai reportage in prima linea, per Capa e soci (intendendo i fotografi di Life che coprivano quel teatro di guerra) non c’era di meglio per narcotizzare le paure generate dal conflitto che annegare in fiumi di champagne. Magnum, fra le altre marche, divenne il nome di battesimo dell’agenzia, sorta poco dopo la fine delle ostilità. Per la prima volta, forse, prendeva forma un’impresa commerciale fotografica, poi affermatasi, con una formula insolita di gestione: la cooperativa. Nessuno, allora, avrebbe scommesso sulla sua durata. Ancora oggi sorprende questa rara longevità di cooperativismo, frutto di un’intuizione di Bob Capa. L’aveva partorita negli anni Trenta l’idea, in Spagna, durante la guerra civile. Il progetto, semplice ed efficace, si basava su un punto inderogabile: ogni decisione da prendere doveva essere collegiale. Gli associati vedevano riconosciuti i diritti fotografici con l’indipendenza del mestiere, la proprietà dei negativi e il controllo sia della diffusione delle proprie immagini sia dei relativi testi didascalici; alle testate giornalistiche, cui erano inviate le foto, veniva imposto un ferreo divieto di manipolazione delle stesse. Con queste prerogative, Magnum non impiegò molto a essere rispettata e considerata un’istituzione del fotogiornalismo nel mondo. Usando le tecnologie del tempo, lo sviluppo della stampa illustrata si era affinato e Magnum, standone al passo, esprimeva la degna continuazione delle agenzie fotogiornalistiche spuntate numerose fra i due conflitti mondiali.

L’agenzia di Capa vide la luce in un bar-ristorante. E nelle sale del circolo del MoMa (il museo d’arte moderna di New York) venne stipulato l’accordo che avrebbe attivato la cooperativa. Ma fu nella serata di qualche settimana più tardi, il 22 maggio 1947, che si festeggiò, ufficializzando il lancio della nuova agenzia. Come luogo non c’era di meglio che l’appartamento, al Greenwich Village, dei coniugi Vandivert dove gli ospiti (amici giornalisti e fotografi calati a fare baldoria) scolarono casse di champagne Magnum. I Vandivert furono essenziali alla riuscita dell’impresa. A parte il fatto che tutto ebbe inizio nella loro casa, Rita Vandivert moglie di William (detto Bill) rappresentava legalmente la cooperativa in veste di presidente. Si contava un’altra donna nella brigata dei fondatori, Maria Eisner, e in totale facevano sette, provenienti da sei paesi diversi. Gli americani Vandivert, l’inglese Rodger, il francese Cartier-Bresson; poi i naturalizzati statunitensi: l’ungherese Capa, il polacco Seymour e, sorpresa, Eisner, che era nata a Milano. Quest’ultima, già fondatrice con altri nel 194 dell’agenzia Alliance-Photo e trasferitasi per studio a Berlino, allo scoppio della guerra, avendo padronanza di quattro lingue, emigrò negli Usa ottenendo la cittadinanza americana. Ma se Maria Eisner certificava solo la nascita in Italia, quello che meglio si trovava in assonanza con il Belpaese era David Seymour.

«Chim», per gli amici, considerava l’Italia da sentirla sua patria adottiva. Quando era in giro per lavoro per conto di Magnum finiva spesso a Milano, dal suo amico Alberto Mondadori. L’editore-giornalista pubblicava Epoca, il settimanale a rotocalco che più di altri faceva il verso, con servizi giornalistici solo di fotografie e didascalie, all’americano Life fondato da Henry Luce nel 1936.
Magnum nacque con due sedi: New York e Parigi. A Eisner fu affidata la direzione dell’ufficio parigino, che era in casa propria, mentre quello newyorchese, retto da Rita Vandivert, trovò collocazione nello studio privato che quest’ultima divideva col marito Bill.

Il bacino di utenza per un’agenzia come Magnum era globale e ciascun fotografo doveva rendersi operativo in un’area geografica che corrispondeva a un continente: Cartier-Bresson in Asia, Vandivert in America, Seymour in Europa, Rodger in Africa e Medio Oriente, Capa spaziava dappertutto inseguendo i conflitti là dove scoppiavano. In capo a un anno i sette soci si sarebbero ritrovati per fare il punto e, possibilmente, celebrare ancora con champagne. Ma al termine del primo anno non esisteva un solo motivo per far festa. Eisner, tesoriera, presentò la situazione: nessun utile nelle casse della cooperativa. A gettare la spugna, dimettendosi, furono la presidente Rita Vandivert e consorte. Passarono tre anni prima che l’agenzia acquisisse degli utili, a beneficio dei nuovi fotoreporter che intanto entravano nella cooperativa. Le vicende degli esordi di Magnum finiscono qui. Il resto, è una lunga storia che continua.

Il percorso espositivo (a cura di Marco Minuz) nella struttura museale della liuteria, a Cremona, è costituito da centodieci fotografie raccolgono insieme, per la prima volta, i reportage dei fondatori. Scorrono le immagini di Capa sulla nascita dello stato di Israele, quelle di Seymour sul dramma degli orfani di guerra in Europa, le foto in India di Bresson scattate a Gandhi pochi giorni prima del suo assassinio, il lavoro di Rodger su una tribù di indigeni in Sudan. Nel catalogo (Silvana editrice) vengono ospitate le interviste sul ruolo attuale del fotogiornalista.