Sono quelli di cui ci si accorge solo quando muoiono. Bravi, spesso «rodati», come hanno specificato i ragazzi di Cesura, sul campo a sudare per le foto, a scovare le notizie a rendere visibili guerre di cui si parla, ma che rimangono lontane. Da vivi vengono pagati male, quando vengono pagati, o considerati perfino, a volte, in modo negativo per l’insistenza con cui sottolineano l’importanza di quanto scovato in zone di guerra.

Andy Rocchelli era uno di questi giornalisti, fotografi, capace di sradicare le notizie e offrirle al pubblico, ma spesso è stato costretto a cercare committenti stranieri. È morto a seguito di uno scontro tra esercito ucraino e filorussi a Sloviansk, proprio la sera prima di quelle elezioni che avrebbero dovuto sancire il momento democratico di un paese, che è di fatto ancora oggi in guerra. Le cause delle morte sono apparse chiare ai testimoni, meno ai media italiani, che hanno parlato di generici colpi di mortaio.

È molto probabile che a uccidere Andy sia stato l’esercito di Kiev, che contrariamente a quanto spesso si è cercato di sostenere, sta producendo un’offensiva massiccia nelle regioni orientali. Fino a ieri mattina non era arrivata l’ufficialità della morte del trentenne fotoreporter italiano (e del suo compagno di avventura, l’italo russo Andrey Mironov), poi è arrivata la conferma della Farnesina. Il capo della diplomazia di Kiev, Andrei Deshchtsia, ha discusso per telefono con la ministra degli esteri Federica Mogherini circa le circostanze della morte di Rocchelli. I due ministri hanno anche detto che «ci deve essere una de-escalation nelle regioni orientali dell’Ucraina come previsto dagli accordi di Ginevra» del mese scorso.

Secondo quanto comunicato dalla ministra italiana, Kiev avrebbe promesso indagini per fare «chiarezza» sulle dinamiche che hanno portato alla morte del fotoreporter italiano. C’è da sperare che questa volta le autorità di Kiev procedano davvero alla ricerca della verità e non abbiano lo stesso atteggiamento ondivago e reticente, tenuto riguardo la richiesta di «chiarezza» per quanto accaduto a Majdan e a Odessa.