Ieri mattina, in un’affollata conferenza stampa tenutasi al Museo Nazionale del Cinema di Torino, è stata presentata la mostra I 1000 volti di Lombroso. L’archivio fotografico del Museo di Antropologia Criminale dell’Università di Torino (25 settembre-6 gennaio). Cesare Lombroso è certo una figura che intriga e le sue collezioni sono di sicuro valore ma in molti tra i convenuti speravano di ricevere lumi sulla vicenda del Museo: Sergio Toffetti, che ha parlato in apertura, si è infatti dichiarato «past president» dopo che nei giorni scorsi aveva annunciato le sue dimissioni, di cui il comitato di gestione ha poi preso atto nel pomeriggio, in aperto dissenso con la nomina del nuovo direttore Domenico De Gaetano da lui ritenuto non sufficientemente competente per ricoprire la carica. E mentre Luca Beatrice, che sembrava il candidato vincente, ha richiesto l’accesso agli atti della procedura di selezione, la presidenza nuovamente vacante riapre un teatrino delle nomine con o senza bando su cui a Torino proprio sembra non voler calare il sipario.

MENTRE i presidenti e direttori vanno, vengono o latitano, il museo del cinema è una macchina che deve continuare a lavorare. L’iniziativa lombrosiana alla Mole nasce dalla collaborazione tra Accademia Albertina, Museo Lombroso e Università di Torino ed è l’esito di un lavoro di ricerca condotto nel quadro del decennale dell’apertura del Museo di Antropologia Criminale intitolato allo studioso. Il materiale – 305 fotografie, disegni, strumenti scientifici, manufatti realizzati da pazienti psichiatrici, libri e documenti – è organizzato in cinque sezioni: la prima narra la nascita dell’antropologia criminale a partire dal trattato L’uomo delinquente del 1876; la seconda è incentrata su brigantaggio, criminalità minorile e delitto politico con disegni e fotografie che ritraggono anarchici e rivoluzionari come Anna Kuliscioff, che Lombroso conosceva personalmente, e in cui credette di riconoscere i presunti tratti distintivi della «delinquente politica». La terza sezione esplora il tema della devianza femminile con particolare riferimento alla criminalizzazione della prostituzione; la quarta documenta il nesso tra criminologia, razzismo e costruzione della devianza sessuale e la quinta propone un excursus sulla nascita della polizia scientifica e della fotografia segnaletica.

LA MOSTRA invita a esplorare quella che Giorgio Vasta definì «una collezione composta in buona parte di abbagli, di equivoci, di forzature, di esasperazioni di cui è indispensabile prendere atto, affinché esserne coscienti serva da antidoto, da controveleno all’impulso che a volte avvertiamo a semplificare le cose». Tuttavia, il nesso con il cinema non è del tutto chiaro. Certo, la settima arte è l’evoluzione della fotografia e, come ha ricordato Giulia Carluccio, storica del cinema e prorettrice dell’Università, «il primo piano è la forma di continuità tra il cinema e i materiali fotografici in mostra». Inoltre, il percorso che si articola nelle teche del quinto pianto della Mole dialoga e amplia l’altra esposizione in corso lungo la rampa elicoidale, #FacceEmozioni. Però, ad oggi non è previsto un programma di proiezioni associato all’esposizione, anche se la presenza lombrosiana nel cinema non manca. Basti pensare a quel piccolo gioiello che è il film profumato Cesare Lombroso. Sull’odore del garofano (1976) che Angela Ricci-Lucchi realizzò con Yervant Giankian a partire dai surreali materiali dell’archivio del criminologo secondo cui i delinquenti soffrivano di anosmia, cioè mancanza di olfatto. Un tale materiale filmico permetterebbe di lavorare in modo interessante sullo sguardo con cui, ovviamente, queste collezioni vanno attraversate, storicizzate e decostruite.