La fotografia si fa o si prende? La macchina fotografica è una macchina da presa e nel momento dello scatto si diceva: «ho preso la fotografia». Ovvero si prendeva, di un soggetto animato o di una situazione statica, l’immagine inquadrata nel mirino che in fase di stampa sarebbe diventata fotografia. Prendere equivale ad afferrare. Che rimanda a trattenere, a conservare. La macchina fotografica Polaroid, modello e marchio americano, immessa nel mercato fin dal dopoguerra, consentiva di prendere la fotografia e, pochi secondi dopo lo scatto, di restituirla su un supporto cartaceo opportunamente trattato affinché fosse durevole per conservarsi. Una magia. Si aveva fra le mani e sotto gli occhi, nell’immediatezza, ciò che era fotografato, ossia preso. Nella pratica, è vero che il fotografo «prendeva» la fotografia, compiendo una scelta di quel che vedeva intorno, ma era la macchina, i congegni programmati in essa contenuti, della Polaroid o di qualsiasi fotocamera, a «farla». Il verbo «prendere» prelude peraltro a qualcosa che si sottrae, magari di nascosto, e mettiamo pure in modo indebito. Insomma «prendere» ha affinità con «rubare».

E non sembri fuori luogo l’uso di questo termine argomentando di fotografia. Il fotografo che tramite un clic prende l’immagine di una forma, di una rappresentazione del reale, restituita nella fotografia bidimensionale, si appropria senza pagare prezzo di un ritaglio di quella realtà. Ognuno se ne avvale senza restrizioni nell’osservarlo e nel goderlo, là dove sta; ma è lecito che se ne impossessi portando via la fotografia di quel ritaglio? Del quale, non di rado, è sotteso l’intento speculativo per ottenere un utile. La foto rubata è propria del fotografo, si sa. O meglio, era risaputo. Sorgono dubbi nel sostenere che la foto, rubata o no, è ancora una sua prerogativa. La ladreria è diventata un sistema: tutti prendono foto. Se al tempo delle macchine analogiche il fotografo-ladro di immagini si trovava ad agire entro ambiti settoriali (lo sport, lo spettacolo-gossip, la politica) e geografici (il viaggio, la guerra, l’esplorazione) predefiniti, con l’affermarsi del digitale tali ambiti risultano confusi perché chiunque si propone fotografo.

Messa alle spalle la stagione delle vacanze generaliste, spiagge o altri spazi sovraffollati, ogni singolo si ritrova in tasca l’aggiunta di un centinaio (stima per difetto) di immagini incasellate nella memoria del proprio cellulare. Abbiamo preso foto di paesaggi ammirabili, di ragazze piacenti, di oggetti fra i più svariati, che si trasmettono, si condividono, circolano liberamente moltiplicandosi in infinite copie dovunque c’è presenza umana. Altro che foto rubata, siamo ladri seriali di immagini! Che portiamo sempre con noi, per mostrarle e far vedere che non siamo soli. Anche se siamo soli.