Dobbiamo imparare a fare a meno dei combustibili fossili. Lasciare la maggior parte delle riserve scoperte in tutto il mondo di petrolio, metano e carbone sottoterra è l’unica strada percorribile per sperare di raggiungere l’obiettivo di Parigi e contenere l’innalzamento medio delle temperature globali in 1,5°C. È questo, in breve, il riassunto del più recente articolo pubblicato dalla rivista scientifica Nature, titolo Unextractable fossil fuels in a 1.5 °C world. A firmarlo sono quattro ricercatori, Dan Welsby e Paul Ekins, dell’Institute for Sustainable Resources dell’University College di Londra, e James Price e Steve Pye, che nella stessa università lavorano per l’Energy Institute.

IL RISULTATO DELLA LORO ricerca dovrebbe improntare l’azione dei governi, fin da oggi: date le riserve al 2018 di petrolio, gas metano fossile e carbone, la percentuale che non viene estratta per raggiungere una probabilità del 50% di mantenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C è stimata al 58% per il petrolio, al 59% per il gas metano fossile e all’89% per il carbone nel 2050. «Questo significa che quote molto alte di riserve considerate economiche oggi non verrebbero estratte con un obiettivo globale di contenere l’aumento delle temperature a 1,5 °C», scrivono i ricercatori, nel paper pubblicato l’8 settembre.

E AGGIUNGONO: «LE STIME SONO considerevolmente più alte di quelle fatte, che hanno stimato riserve non estraibili rispettivamente al 33% e al 49% per il petrolio e il gas metano fossile. Questo riflette la maggiore ambizione climatica assunta in questa analisi, oltre a una prospettiva più positiva per lo sviluppo di tecnologie a bassa emissione di carbonio, come i veicoli a zero emissioni e l’energia rinnovabile».

«NEL 2015 GLI SCIENZIATI DI TUTTO il mondo lavorarono per fare pressione sulle istituzioni e sui decisori in vista della Cop di Parigi. Uno degli strumenti adottati fu quello delle lettere firmate e delle petizioni, ma fu interessante anche la pubblicazione di articoli scientifici che indicavano in modo chiaro cosa fare. Su Nature fu pubblicato un articolo che diceva quanta parte delle riserve di combustibili fossili allora note era necessario mantenere sotto terra per non superare i 2°C. Oggi, in vista della COP26 di Glasgow e prima della Pre-COP di Milano e del G20 di Roma, è stata realizzata una nuova valutazione a sei anni di distanza con risultati davvero indicativi», sottolinea Gianluca Ruggieri, dal 2006 ricercatore di Fisica Tecnica Ambientale all’Università dell’Insubria e vicepresidente di ènostra, il fornitore elettrico cooperativo, a finalità non lucrativa, che vende ai propri soci solo elettricità rinnovabile. Secondo Ruggieri il nuovo paper pubblicato da Nature «ci dà un’indicazione interessante sul fatto che senza scelte radicali legate a una riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili tutto il resto diventa un po’ velleitario: dobbiamo rinunciare ad usare risorse che abbiamo e sappiamo di avere, evitando anche di spendere soldi in ricerca di nuovi giacimenti».

IL MESSAGGIO E’ CHIARO, quando mancano meno di due mesi alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, la COP26 che si terrà nella città di Glasgow, in Scozia, tra il 31 ottobre e il 12 novembre, anticipata dal vertice del G20 (a Roma, sotto la presidenza italiana).

MILANO OSPITERA’ INVECE UNA PRE-COP, tra fine settembre e inizio ottobre. Negli stessi giorni, il capoluogo lombardo ospiterà anche il Climate Camp, perché «i governi hanno finto di ascoltare le richieste dei movimenti per la giustizia climatica, istituendo ad esempio in Italia il Ministero della transizione ecologica», ma senza mettere «in discussione il modello di sviluppo capitalista, che continua a mettere al centro l’accumulazione di profitto anziché il benessere delle comunità». Il manifesto del Climate Camp indica una direzione, un appello: «Cambiamento significa far cessare immediatamente il paradigma della crescita infinita, fatto di estrattivismo e dominio esercitati sui corpi e sui territori».

QUANDO SI PARLA DI ESTRATTIVISMO il riferimento non è necessariamente ai combustibili fossili, perché questo termine rimanda all’accaparramento di diversi tipi di ricchezza da parte di grandi interessi privati, nazionali od esteri, ai danni di comunità locali che da quella ricchezza dipendono. Petrolio, metano e carbone, però, possono essere considerati – con i minerali più preziosi, l’oro e argento del periodo coloniale – un simbolo dell’estrattivismo. Il 13 settembre è stata lanciata una campagna per la definizione di un Trattato internazionale di non proliferazione delle fonti fossili (fossilfueltreaty.org), «un’iniziativa del mondo scientifico che chiede agli Stati impegni precisi su questo tema», sottolinea Ruggieri. L’uso del lemma «non proliferazione» rimanda al mondo dell’energia nucleare.

UNA LETTERA E’ STATA INDIRIZZATA all’Assemblea generale degli Stati Uniti, firmata da 2.185 scienziati. Tra loro anche Sandrine Dixson-Decleve, presidente del Club di Roma, che ha detto: «L’unico modo per raggiungere i nostri obiettivi dell’Accordo di Parigi e la transizione verso un’economia a impatto zero è quello di ritirarsi dai combustibili fossili ora. Non abbiamo più tempo da perdere».