Il paesaggio toscano non è più lo stesso. L’inchiesta giudiziaria sullo sversamento dei rifiuti tossici delle concerie di Santa Croce sull’Arno ha fatto emergere inquietanti intrecci tra ‘ndrangheta e politica di centro-sinistra, spazzando via tutti i proclami sull’ambiente e l’economia circolare.

Il distretto conciario di Santa Croce sull’Arno, in provincia di Pisa, è il più importante polo italiano per la produzione di pelli per borse e scarpe di marchi internazionali del lusso. Da quegli impianti, da una parte escono pelli lavorate per le grandi griffe, dall’altra escono scarti industriali ricchi di metalli pesanti, tra cui cromo, arsenico e antimonio. Quei fanghi di lavorazione arrivano al depuratore di Aquarno, dal quale però sono usciti tali e quali a come erano entrati e da lì sono giunti in mare. Ma non è tutto, perché i fanghi producono anche il Keu, sigla di un sottoprodotto altamente inquinante, ceneri di produzione che andrebbero lavorate per renderle innocue e invece sono state riversate, senza lavorazione, ad esempio nell’area di urbanizzazione del comune di Pontedera denominata Green Park o nell’area dell’aeroporto militare di Pisa, oppure sono state utilizzate per l’asfaltatura della superstrada panoramica tra Empoli e Castelfiorentino.

Nessuno avrebbe immaginato che anche la Toscana avrebbe potuto avere una terra dei fuochi. La politica locale è annichilita e preferisce non parlarne, anche le associazioni ambientaliste paiono colte di sorpresa. E intanto il paesaggio, pure quello urbano, viene continuamente stravolto: a Pietrasanta, quella che una volta veniva chiamata con orgoglio (e una certa presunzione) la Piccola Atene, la giunta comunale di destra ha deciso di “riqualificare” la Piazza dello Statuto, un grande spazio rettangolare circondato da 24 tigli storici, due dei quali malati, per dar luce alla banca locale e al dehor di qualche ristorante. In tempi rapidissimi e nonostante una petizione che ha raccolto migliaia di firme in pochi giorni, quattro di quegli alberi, non quelli malati, sono già stati abbattuti. Tuttavia si è alzata inaspettata la protesta di semplici cittadini, per lo più giovani e giovanissimi, che stanno facendo di tutto perché quella piazza rimanga l’unico luogo di incontro, nonché di mercato, all’ombra dei tigli.

Si appellano alla legge n° 10 del gennaio 2013 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani), che all’articolo 7 prevede disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, con obbligo di censimento da parte dei comuni. La legge vincola le piante come fossero edifici storici e impegna gli enti locali alla loro manutenzione, prevedendo una sanzione amministrativa di carattere pecuniario a fronte del loro abbattimento o danneggiamento. E ancora: Regioni e Comuni – ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e delle risorse disponibili – sono tenuti a promuovere l’incremento di spazi verdi urbani, cosa che dovremmo cominciare a reclamare con forza. Così come dovremmo chiedere che quando si procede all’abbattimento di una pianta, magari malata, si progetti contestualmente la sua sostituzione, perché lo prevede la legge.

Scriveva Rigoni Stern: «E come vorrei che attorno a essi venisse alzato un recinto sacro a protezione. I secoli e le stagioni hanno fin qui rispettato questi alberi, non siano gli uomini a farli morire come già è capitato». Quei giovani di Pietrasanta sono una voce di speranza in difesa di un paesaggio che rischia di sparire in nome di parole, “riqualificazione” o “transizione ecologica”, che suonano sempre più fosche e in Toscana sono ormai trasversali ai due schieramenti politici. La nostra Costituzione è stata una delle prime e poche al mondo ad aver previsto la tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio, e tutti, indipendentemente dal colore politico, ne siamo chiamati al rispetto.