Il Cavaliere non è più cavaliere. Si è autosospeso lui stesso, anticipando la procedura che ne avrebbe probabilmente decretato la decadenza. A prima vista può apparire poca cosa, a paragone della decadenza da parlamentare, dell’interdizione dei pubblici uffici, dell’imminente assegnazione ai servizi sociali o, peggio, degli arresti domiciliari. Invece il particolare, sul fronte dell’immagine, è persino più devastante. Del resto, illustra e simboleggia meglio di come non si potrebbe lo stato di caos che regna tanto nello studio privato dell’ex cavaliere quanto nel suo partito vicino allo sbando.

L’interdetto, con gli intimi, giura di non essere sorpreso dalla conferma della sentenza decisa martedì dalla Cassazione. Ma è più probabile che almeno un po’ nella sospensione del giudizio ci abbia sperato. In ogni caso, la pesantezza della mazzata c’è tutta, e si accompagna al crescente terrore per la fatidica data del 10 aprile, quando il tribunale di sorveglianza di Milano dovrà decidere sull’affidamento ai servizi sociali. «Io non ho mai danneggiato il mio Paese – si lamentava ieri il non più cavaliere – e ora mi fanno passare proprio per questo».

Non è retorica. Berlusconi ritiene davvero di essere un benemerito vittima di clamorosa ingiustizia. Non è una novità. Il fatto nuovo è che, per la prima volta, la condanna dell’estate scorsa non è più virtuale. Ora il condannato deve vedersela con i suoi effetti concreti. Il primo è che non potrà candidarsi alle europee: non è un problema secondario dato che i sondaggi reali, quelli che non arrivano in tv, registrano un progressivo allargamento della forbice tra Pd e Fi. Il presidente dei senatori Romani non si rassegna: «Che Berlusconi non si candidi è inimmaginabile». Dovrà fare uno sforzo d’immaginazione. La fedelissima Biancofiore lo ha già fatto: «Non può più candidarsi», ammette. E’ la prima volta che qualcuno, dagli spalti di Arcore, prende atto della realtà.
Però il nome Berlusconi in qualche modo dovrà figurare in quella lista, ma il diretto interessato non ha ancora deciso come. Certo, ci si potrebbe piazzare un bel «Berlusconi presidente», ma si rischia l’effetto boomerang da palese presa in giro, e poi non è detto che basti. Restano le figlie, Marina e Barbara, l’una o l’altra o magari tutte e due. Mariastella Gelmini dà la decisione per già presa. Il “consigliere politico” Toti smentisce: «Non mi risulta». Altre voci, solitamente informate, sostengono che il padre e padreterno di Forza Italia abbia in mente una mossa a sorpresa: mandare allo sbaraglio il maschio, Piersilvio. Vedremo.

Non è l’unico segnale della confusione azzurra. Resta inevaso il nodo delle candidature dei parlamentari. Loro ci terrebbero molto, Berlusconi coltiva dubbi in quantità industriale, ma sa anche che dalla presenza o meno di quei nomi possono dipendere parecchie preferenze. A metà pomeriggio le agenzie battevano: Brunetta al nord-est, Toti al nord-ovest, Tajani al centro, Fitto al sud. Poi la secca la smentita: «Nessuna decisione è stata presa». Anche qui: vedremo.

Ma il guaio principale, dopo la condanna, si chiama Renzi. Quella “sintonia” che pareva geniale si sta rivelando un disastro. I forzisti scoprono ora che reggere mesi e magari anni senza stare né al governo né all’opposizione vuol dire logorarsi senza scampo. Sarebbe difficile anche se le riforme procedessero spedite come treni. Invece annaspano e oggi su Panorama Keyeser Soze scrive che lo stesso non-cavaliere avrebbe ammesso: «Così com’è, la proposta Renzi non passa». Quindi crescono i malumori e le pressioni per «mollare Renzi». Ma come si fa, dopo il can can montato sul carrozzone delle riforme?

Nel vicolo cieco, Fi si dibatte senza riuscire a trovare una strategia per tirarsene fuori. Così si radica sempre più la tentazione di chiedere, dopo le europee, di porre fine alla doppia maggioranza: o al governo o all’opposizione anche sulle riforme. Sempre che il responso delle urne lo permetta.