Suonano come un presagio funesto le sirene di allarme risuonate ieri mattina a Mitrovica Nord. Nella città capoluogo del Kosovo del Nord, abitato per lo più da serbi, quelle sirene non si sentivano da vent’anni. Il Kosovo si è unilateralmente dichiarato indipendente dalla Serbia nel 2008, nonostante gli accordi di pace del 1999 dopo la guerra della Nato; subito sostenuto dagli Usa, non è riconosciuto da Belgrado, da paesi europei come Spagna, Grecia, Slovacchia, Romania e Cipro sud e da molti paesi dell’Onu, tra cui Russia e Cina. Ieri il ricordo dei bombardamenti si è risvegliato. I civili si sono riversati nelle strade, hanno costruito barricate. Per Mitrovica e per tutto il Kosovo del Nord è stata una lunga giornata di scontri e tensioni.

Tutto inizia a Zubin Potok nelle prime ore del mattino. Una retata delle forze speciali della polizia kosovara albanese (Rosu) porta all’arresto di almeno diciannove persone. Undici serbi, quattro albanesi e quattro bosniaci, preciserà dopo la polizia kosovaro albanese. Si tratta di un raid ordinato dalla procura e finalizzato al «contrasto della criminalità organizzata» ma riguarda anche poliziotti e doganieri, spiega il premier kosovaro albanese, il discusso Ramush Haradinaj impegnato in prima persona nella guerra dei dazi unilaterali alla Serbia. Il raid è effettuato nelle municipalità a maggioranza serba del Kosovo del Nord: non solo Zubin Potok, ma anche Leposavic, Zvecan e Kosovka Mitrovica. La situazione però precipita. Negli scontri – ci sentono anche colpi d’arma da fuoco – tra polizia e popolazione locale vengono feriti cinque poliziotti e sei civili serbi.

Gli uomini della missione Nato in Kosovo (Kfor) rafforzano la propria presenza nei punti più sensibili, tra cui i monasteri ortodossi nel sud del Paese.
Appelli alla calma si susseguono per tutta la giornata. Uno di questi proviene da Zahir Tanin, capo della missione Onu in Kosovo (Unmik). Nel raid infatti vengono arrestati anche due funzionari della missione delle Nazioni unite, tra cui un diplomatico russo. Il caso suscita le proteste del Cremlino. «Il raid è una provocazione che mira a intimidire la popolazione serba e a stabilire il controllo sul Kosovo del Nord», dichiara il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov che chiede e ottiene l’immediato rilascio del diplomatico russo. La polizia kosovara si difende sostenendo che l’arresto è un atto dovuto dal momento che i due funzionari erano tra le barricate costruite dalla popolazione locale e fatte smantellare dalle forze speciali kosovaro albanesi.

Intanto a Belgrado il presidente serbo Aleksandar Vucic ha allertato l’esrcito, convocando una riunione urgente per esaminare la situazione e successivamente è intervenuto di fronte al Parlamento per riferire degli sviluppi. Per Belgrado non ci sono dubbi. L’operazione di polizia è un tentativo di «prendere con la forza il controllo sul Kosovo del Nord». Magari approfittando del vacuum delle istituzioni europee, proprio in questo momento e dopo il voto-scossone di domenica scorsa. «Cercheremo di mantenere la pace e la stabilità», afferma Vucic che però si dice pronto a reagire se le forze speciali della Rosu non si ritireranno dal Kosovo.

Proprio lunedì Vucic aveva convocato una sessione parlamentare speciale sul Kosovo trasmessa in diretta dalla tv nazionale.«Abbiamo perso il controllo sul Kosovo – aveva dichiarato – è giunto il momento di giungere a un compromesso altrimenti la reazione da parte albanese sarà quella di attaccare i serbi». Ma il compromesso – lo scambio tra area di Mitrovica a maggioranza serba e Valle del Prescevo a maggioranza albanese ma in Serbia – appare davvero impossibile. Si capirà con il tempo se le parole di Vucic siano una coincidenza, una profezia, un’orchestrazione o il cogliere al balzo la dichiarata debolezza serba da parte della leadership albanese di Pristina che è forte del sostegno dell’Albania di Edi Rama. Il premier di Tirana, in profonda crisi interna, soffia sulla Grande Albania, come ha fatto ieri del resto il presidente kosovaro albanese Hashim Thaqi rivendicando la Valle del Prescevo in terra serba.