Sinistra Italiana ha lanciato in questi giorni l’iniziativa “Forza!”, per il finanziamento dei progetti di innovazione sociale, economia della condivisione e mutualismo, attraverso i versamenti dei parlamentari di Sinistra Italiana, i quali contribuiscono ogni mese con il 70% della propria indennità netta.

L’iniziativa dimostra, finalmente, l’assunzione, anche in Italia, di alcune questioni politiche cruciali. Il welfare assicurativo novecentesco è sempre più insufficiente rispetto a quell’eterogeneità di soggetti e figure produttive sempre più centrali nell’ambito delle nuove forme della produzione. Lo sviluppo dei sistemi di protezione sociale novecenteschi, insieme ad un diritto del lavoro avanzato, era stato il frutto delle rivendicazioni operaie e delle lotte di quei soggetti collettivi divenuti – grazie alla mediazione costituzionale costruita sul lavoro – il motore dello sviluppo istituzionale del paese.

Di fronte all’espansione del mercato, connessa con i mutamenti strutturali che hanno investito i rapporti di produzione, c’è chi afferma la necessità di recuperare la purezza del Politico, in grado di ristabilire, per mezzo della legge, l’universalità della giustizia e della verità. In questa visione, il sociale viene rappresentato come un ammasso di individui disincarnati, incapaci di comprendere cosa sia giusto e cosa sbagliato. La loro liberazione, insomma, può avvenire solo entro il modello di società prefigurato dalla decisione del Politico.

Qualcuno, a sinistra, sembra aver intuito che la liberazione dal capitalismo non coincide con il gioco di prestigio del sovrano, tanto più in un momento in cui l’espansione del mercato a livello trans-nazionale poggia su una molteplicità sempre più ampia di rapporti di potere. Qualcuno ha notato che, dentro quei rapporti, c’è chi crea ogni giorno spazi di resistenza, attraverso iniziative di condivisione, cooperazione, mutualismo.

Il bando di Sinistra Italiana, innanzitutto, sostenendo le esperienze di mutualismo, le sottrae all’esposizione totale al mercato e pone le basi per il riconoscimento di un welfare “dal basso” che poggia sull’impegno e sulla cittadinanza attiva. D’altro canto, finanziando iniziative di economia della condivisione, può stimolare l’adozione di forme di autogoverno, innescando un nuovo potenziale istituente alternativo al privato.

Restano alcuni dubbi sui criteri di valutazione adottati nel bando. L’affidamento della valutazione ad una segreteria tecnica-amministrativa potrebbe implicare l’assunzione acritica di alcuni parametri come “oggettivi”, indirizzando il finanziamento verso un dato modello di pratiche. Un criterio come la “capacità di creare buona e nuova duratura occupazione”, ad esempio, non poggia su categorie neutre, ma rischia di privilegiare una visione auto-imprenditoriale dell’innovazione, a discapito della funzione sociale. Del resto, lo sviluppo dell’economia della condivisione sta avvenendo oggi proprio sul crinale di una contraddizione fra la sperimentazione di forme di solidarietà e cooperazione e il carattere privatistico dei modelli di gestione delle piattaforme in cui tali iniziative prendono forma, che le piega alla dipendenza e all’autosfruttamento.

La capacità, da parte del partito, di assumere tale contraddizione riconoscendo e sostenendo la possibilità, da parte di tali iniziative, di produrre forme di conflitto e rottura entro il mercato, determinerà l’identità – tutta da costruire – del partito, nonché la sua capacità di connettersi con i soggetti, i movimenti e le resistenze a cui dovrebbe dar “forza”.