Sono tornati in Piazza del Campidoglio: e questa volta erano davvero molti, molti di più.

Dopo un breve corteo, dalla Bocca della Verità fin sulla magica stella di Michelangelo che pavimenta la piazza. Dei ventiquattromila dipendenti del Comune di Roma, in diecimila, forse qualcosa di più, si sono radunati ieri mattina per rumorosamente segnalare al sindaco Marino che dei suoi sorrisi non si fidano più.

Dalle educatrici degli asili-nido ai giardinieri, dai vigili urbani agli archeologi della Sovrintendenza comunale, dai geometri degli uffici tecnici alle assistenti sociali, dagli operatori dei servizi demografici agli uscieri, ai custodi, dagli addetti di segreteria ai contabili, agli economi, dagli architetti pianificatori agli ingegneri ambientali, dalle maestre ai musicisti della banda della polizia municipale.

Perché mai tale poderoso schieramento della forza-lavoro comunale?

Perché questa prova di forza così vistosa e roboante, uno sciopero generale con adesioni quasi totali, che nella storia della città non s’era mai visto? La ragione principale, seppur non l’unica, è il rifiuto di subire quella cospicua riduzione salariale (diverse centinaia di euro) prevista dalle politiche ministeriali di «risparmio» della spesa pubblica. L’eliminazione cioè dalle buste-paga del salario accessorio, quella quota integrativa che in un decennio di mancato rinnovo del contratto nazionale è stata negoziata localmente. Per lavoratori che in grande prevalenza percepiscono retribuzioni sul filo dei mille euro mensili, si tratta di quell’esiguo margine che separa un reddito minimo da una condizione di semi-povertà.

Quel che più impressiona è che questo conflitto si stia sviluppando con una controparte culturalmente contigua alle politiche dei diritti sindacali. Una controparte che invece sembra inspiegabilmente incurante della rivolta di quei lavoratori senza la cui collaborazione è difficile gestire una città, far funzionare i servizi, attuare le proprie scelte politiche. Commentando lo sciopero, in un esemplare stilnovo di matrice renziana, Marino, che era stato proposto come un campione della sinistra contemporanea, ha insistito: «I sindacati schiaffeggiano i lavoratori e non difendono i loro interessi».

Il tono è di quelli che non lasciano spazio a interpretazioni. La rottura è profonda, forse irrimediabile. E si aggiunge alla crescente delusione popolare, al generale disappunto politico che ormai circonda questo sindaco. Isolato e inviso da chi dovrebbe sostenerlo: dall’ormai sfibrato centrosinistra romano, ma a questo punto anche dallo stesso insediamento sociale che un anno fa l’ha con speranza e convinzione votato.

In questo clima sempre più dolente e sfiduciato, non c’è soltanto la vertenza sul salario accessorio. A Roma si collaudano quelle perniciose misure economiche che stanno riducendo gli enti locali a discariche politiche, su cui far precipitare tutto il peggio della persecuzione sociale. E nel piano di rientro che il governo ha preteso per la capitale, è facile intuire che verranno programmati interventi non proprio indolori. Assisteremo a una generale scartavetrata di tutte le attività comunali, con l’obiettivo di ridurre la spesa e così comprimere il bilancio per assicurare le restituzione non del debito, ma dei suoi soli interessi.

Una manovra economica che si concretizzerà nella svendita di progressive quote delle aziende comunali, trasporti, ambiente, acqua, energia, e di quel consistente patrimonio immobiliare che potrebbe invece ospitare alloggi popolari, servizi sociali, nuove economie, nuovi lavori, progetti di riconversione produttiva, spazi per la cultura indipendente.

Per poi passare alla privatizzazione di segmenti sempre più cospicui di welfare, dalle farmacie comunali agli asili-nido, che si trasformerebbero in parcheggi per l’infanzia, dalle istituzioni culturali, teatri, musei, biblioteche, ai centri d’assistenza per anziani, disabili, minori. E concludersi infine con uno sbrigativo saccheggio di quel che resta da tagliare, e cioè il costo del lavoro, licenziando, pre-pensionando, esternalizzando interi settori di pertinenza comunale (come si profila con la società di manutenzione Multiservizi), riducendo il più possibile le retribuzioni (come sta appunto avvenendo con il salario accessorio).

Quel che si profila per una delle città più belle del mondo è dunque uno scenario di angoscioso declino. L’attuale amministrazione, con tutta evidenza, non sembra proprio in grado di contrastare tale deriva: non riesce a tamponare, attenuare tale deriva, né, tanto meno, sceglie di disobbedire, ribellarsi alle imposizioni governative. Cerca di galleggiare goffamente, inadatta ad affrontare e sciogliere i nodi strutturali, incapace di tratteggiare strategie di lungo respiro.

E intanto provoca danni su danni.