Basta una frasetta lasciata cadere a metà di una lunga intervista al Corrierone, e di botto tutti capiscono che la legge elettorale non sta messa bene e il Nazareno neppure. Modifiche alla legge scritta a suggello del famigerato Patto e già votata dalla Camera? «Valuteremo nei prossimi mesi». Mesi? Ma se Renzi parla di settimane! No, no: «Ci sono cose più urgenti da votare», senza contare che «la riforma elettorale deve procedere contestualmente a quella del Senato».

Non parla un bellicoso dissidente, bensì Paolo Romani, presidente dei senatori, autonomia dal gran capo un po’ sotto lo zero. A tirare il freno è stato direttamente Silvio Berlusconi. Oddio, cosa è successo per portare così di colpo la coppia più bella del mondo, se non proprio sull’orlo del divorzio, almeno in area limitrofa ai piatti frantumati? In realtà parecchie cose, nessuna delle quali determinante in sé ma che sommate portano il nervosismo di Arcore alle stelle. Il riavvicinamento tra Renzi e l’Ncd, per esempio, in particolare in Campania e Puglia. Ma l’elemento decisivo è la paura, anzi la psicosi, delle elezioni anticipate. In Parlamento ne parlano tutti, le temono tutti e inevitabilmente ha finito per prestare ascolto anche il cogenitore azzurro della nuova patria. Verdini ha assicurato che così non è, che Renzi abbaia ma a mordere, almeno in quella parte molle, non ci pensa per niente. Sarà, ma allora perché tanta fretta?
La stella di Verdini, del resto, nel firmamento silviesco è appannata. Un po’ per lo spettro di guai giudiziari, molto perché era stato lui il mallevadore della sterzata verso il premio di lista, prima accettata da Berlusconi ma poi, dopo un diluvio di pareri contrari, per metà rinnegata. Dicono che Denis il Fumantino mediti di mollare il testimone ad altri mediatori. In realtà non è affatto detto che alla fine Silvio l’Indeciso non si acconci ad accettare il premio di lista, ma è storia di domani, anzi di dopodomani. «Mesi», dice Romani, però tra i senatori forzisti c’è chi punta sugli anni: «La legge elettorale la si deve fare certo. Ma a fine legislatura».

Si sa che per Renzi niente vale un po’ di movimento. Dunque ha già iniziato a sondare le acque in vista di un possibile ribaltamento di alleanze. Su fronti diversi e con proposte diverse. Cinguetta con i grillini, facendo balenare un Italicum con premio di lista che lascerebbe in lizza solo loro oltre a quel Renzi-partito che per abitudine e pigrizia continuiamo a chiamare Pd.

Allo stesso tempo fa mettere in campo da Giachetti, con tanto di proposta formale, quel Mattarellum che riporterebbe all’ovile la minoranza Pd, piacerebbe a Sel e potrebbe essere gradito anche al Beppe furioso. «Se la legge resta arenata, in Parlamento è già pronta una maggioranza sulla mia proposta», assicura Giachetti: cioè su un Mattarellum depurato dal micidiale scorporo. Scalfarotto, sottosegretario alle Riforme, invece vuole approvare l’Italicum di corsa. Però anche lui senza più Silvio: «Se Forza Italia ha bisogno di mesi saremo costretti ad approvare la legge senza Forza Italia». Molto più facile a dirsi e che a farsi. Perché in Parlamento sono moltissimi a concordare con il leader azzurro su un punto chiave: bisogna impedire che Renzi possa correre al voto, e se proprio volesse farlo a tutti i costi, allora meglio il Consultellum.