Quando si tratta di farlo davvero strano, Forza Italia ormai non la batte più nessuno. Da ieri le due anime (principali) del partito di re Silvio sono non separate ma addirittura scisse in casa. Due partiti in uno che non riescono neppure a congedarsi reciprocamente. Se gli immancabili ricucitori (nel caso specifico l’ex ministro Altero Matteoli) non riusciranno nella missione quasi impossibile di rimettere insieme i cocci, in Puglia i fittiani e Fi si presenteranno l’un contro l’altro armati. Il viceré col candidato scippato agli azzurri, Francesco Schittulli, in campo e l’appoggio dell’Ncd. I lealisti per ora senza candidato, tanto che alla fine si dovrà misurare il commissario spedito da Arcore a fare il segretario regionale, Luigi Vitali, forse in coalizione con la Lega di Salvini.

Attesa e prevista, nonostante le voci ottimiste degli ultimi giorni, la rottura si è consumata quando il candidato Schittulli, dopo un ultimo e svogliato appello all’unità del centrodestra, ha presentato ufficialmente la sua coalizione: Lista civica di Fitto, Ncd, Fdi, il Movimento dello stesso Schittulli. Fi invece no. Depennata.

La replica di Vitali non poteva che essere durissima. «Da oggi Schittulli non è più il nostro candidato», annuncia il segretario regionale pugliese: «Da questo momento siamo liberi di allearci con chi riteniamo più opportuno e di individuare un altro candidato alla presidenza». L’allusione alla libertà di stringere alleanze è rivolta direttamente al Carroccio, peraltro corteggiato anche dai fittiani. Quanto al candidato, figurarsi se gli azzurri non preferirebbero un esponente della società civile. Ma «siccome Schittulli ci ha fatto perdere due mesi, non escludiamo che possa anche essere un politico». Con ogni probabilità lui stesso, che però sconta una popolarità inesistente presso l’apparato forzista pugliese, tutto fedele al viceré Fitto.

Poco dopo sull’argomento torna anche Giovanni Toti, candidato in Liguria oltre che megafono del capo, che però evita polemiche troppo aspre: «Fitto doveva candidarsi e metterci la faccia come ho fatto io. Qui si litiga per uno strapuntino o una poltrona in più e si evita di mettere la faccia su elezioni importanti». Lo «strapuntino» in questione figura in effetti più come pretesto che come comprensibile casus belli: Fitto pretendeva la riconferma di tutti i forzisti a lui fedeli nella lista. Vitali aveva tenuto duro su due nomi, accettando però senza sforzo di sostenerli se a candidarli fosse stata la Lista Fitto. Difficile immaginare un problema meno irresolubile, se però i due contendenti lo avessero voluto risolvere. Per Fitto non sarebbe stata una tragedia candidare i due nelle sue liste. Per lo stesso Berlusconi, dopo aver ceduto su molto, riconfermare l’intera squadra fittiana non sarebbe stata la fine del mondo.

Il punto è che invece l’accordo non lo voleva nessuno. Mentre sul tavolo pugliese si trattava, o si fingeva di trattare, entrambe le fazioni consultavano gli avvocati, che stanno ai partiti come gli avvoltoi ai cadaveri: quando compaiono l’ultima parola è già stata scritta. Gli emissari di Berlusconi volevano chiarire quali fossero, a norma di statuto, le loro possibilità di mettere alla porta il ribelle. Quelli di Fitto spulciavano con i legulei il medesimo statuto per dimostrare che, in assenza di probiviri, loro non possono proprio essere cacciati.
Esattamente come è successo in Puglia, i due partiti che fingono di essere uno tirano la faccenda per le lunghe solo perché impegnati nel classico e vetusto gioco del cerino. La separazione formale sarà d’ora in poi solo questione di tattica propagandistica: come fare in modo che a subire il massimo danno d’immagine siano gli altri.

E’ probabile che il gioco prosegua fino a dopo le elezioni, perché l’esito della prova determinerà in larga misura i rapporti di forza. Ma la finzione non potrà essere portata molto oltre. Così, non senza paradosso, Fi si trova nella stessa situazione dell’Ncd: anche lì, dopo la defenestrazione di Nunzia Di Girolamo, il partito resterà unito fino alle elezioni, perché il contrario sarebbe un suicidio. Subito dopo, salvo improbabile successone nelle urne, arriverà il momento della verità.