Mancano appena due interventi a un voto di fiducia senza suspense quando, dopo un dibattito sino a quel momento con pochi guizzi, l’edificio costruito nei suoi due interventi del presidente del consiglio viene smontato mattone su mattone da un bulldozer impietoso. Se ne occupa Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia, e non era affatto scontato.

Sino a ieri il partito azzurro aveva mantenuto un atteggiamento prudente: no alla fiducia ma disponibilità ad appoggiare i provvedimenti vicini al programma di centrodestra, con moderata fiducia nella capacità della Lega di veicolarle nel nuovo governo.

Non sarà così, o lo sarà solo in superficie. L’opposizione azzurra sarà rigida e impietosa, molto più temibile di quella flaccida e prevedibile del Pd, illustrata prima da Renzi in persona, poi dal capogruppo Marcucci o di quella più determinata ma con poca forza a disposizione annunciata dalla De Petris per LeU. La Bernini, invece, non ne lascia passare una. Le belle parole sulle donne? «Ma dove sono nel vostro governo e dov’è il ministero della Pari opportunità?». L’impegno per il sud? «Davvero? Senza investimenti?». E dell’Ilva «cosa ne facciamo»?

Ma non sono queste le note dolenti, come non è il previsto affondo sul giustizialismo. E’ il fatto che anche la pièce de resistence della Flat Tax, venga bocciata senza appello da Fi: «Non è più Flat e non guarda alle famiglie ma solo alle imprese dove peraltro già c’è». Con un margine di vantaggio esiguo, anche se non scarsissimo, la dichiarazione di guerra di Arcore è per il governo un problema ben più minaccioso dell’opposizione del Pd, condotta tutta in nome della rivendicazione dei risultati dei governi della scorsa legislatura e a base di mosse puramente propagandistiche. Come quella annunciata da Renzi in aula: «Chiederemo subito la convocazione della ministra della Difesa di fronte al Copasir». L’annunciata convocazione dovrebbe servire a chiarire alcuni punti ambigui nel percorso della ministra Trento, a partire dal rapporto con il consorzio SudgestAid della Link University, che si sarebbe occupato anche del reclutamento di contractors.

Ma il Pd non ha sponde possibili. Fi può sperare di trovarne. Il centrodestra, con tre posizioni diverse sulla fiducia dopo la scelta di astenersi di FdI, non esiste più. Resta però in campo come ipotesi, spettro che Salvini usa per tenere sotto scacco M5S ma che potrebbe davvero materializzarsi di nuovo in ogni momento. Non ci sarebbe problema se l’asse tra i soci firmatari del contratto fosse solido. Ma non lo è e ieri, nonostante gli sforzi per mascherarlo, è trapelato apertamente. Giuseppe Conte ha fatto un intervento decisamente sbilanciato a favore della componente a cinque stelle, sia nei toni che nella scelta di smussare gli angoli di tutti gli obiettivi indicati dal Carroccio, dal fronte immigrazione, diventato «lotta contro il business dei clandestini» alla «certezza della pena», però nell’alveo della Costituzione che assegna alla pena stessa funzioni di riabilitazione.

Salvini finge di non accorgersene. Finito l’intervento del premier è il primo ad assicurare che è stato un discorso perfetto, anche se molti in aula hanno notato che il ministro degli Interni è stato l’ultimo ad alzarsi per commemorare, come richiesto da Conte, il sindacalista del Mali Soumayla Sacko, ucciso a fucilate nel silenzio del governo rotto solo ieri in aula dal premier. Poi però, nell’intervento finale, Stefano Candiani, probabile nuovo capogruppo leghista sceglie di usare toni opposti a quelli di Conte sull’Europa: «Dobbiamo pretendere il rispetto che ci è dovuto, ripristinare il prestigio del nostro Paese».

Fuori dall’aula Salvini aggiunge un carico pesante: «Per i clandestini la pacchia è strafinita. Con la pace fiscale finanzieremo sia la Flat Tax che la sterilizzazione dell’aumento Iva.

Sull’Alitalia serve un intervento statale: nessuno spezzatino. L’intervento sulla Fornero è nel contratto e non si discute». Per finire con una stilettata contro Balotelli: «O si candida a fare il premier o pensa a fare più gol». È una specie di controdiscorso inaugurale in piena regola, e del resto non è un caso se sul nodo delle Infrastrutture, che segna il punto di massimo disaccordo tra Lega e 5S, Conte non ha letteralmente saputo cosa dire: «Non abbiamo ancora definito un elenco».

Dunque il quadro che esce dal voto e dal dibattito di ieri è in realtà fragile, minacciato dall’interno e dall’esterno, minato dalla rivalità latente tra i partiti della maggioranza. Ma l’ombra più cupa la ha evocata Mario Monti, in un accorato intervento: «Siate più umili e realisti o arriverà l’umiliazione della trojka, che è una cosa disgustosa e che vi renderebbe un governo semicoloniale». Dette da uno che se ne intende come Monti sono parole da non prendere alla leggera.