Le colonne sonore, le canzoni, le opere così profondamente radicate nella tradizione culturale e musicale della sua Grecia ma sempre rivolte all’attualità. Mikis Theodorakis lascia in eredità un prisma di espressioni che hanno colorato la musica del Novecento, il secolo breve. Poesia e impegno sociale in ogni opera, forza e lirismo ovunque nella sua musica, nelle sue sette sinfonie classiche ma modificate geneticamente, nelle quattro opere e nei diversi balletti che ha composto. Eppure niente più della colonna sonora di Zorba il greco ha reso giustizia alla sua anima: poetica e profonda ma così irriverente. Molti quando hanno sentito per la prima volta il sirtaki hanno pensato fosse una musica tradizionale di qualche isola della Grecia.

INVECE l’ha composta Theodorakis, a meno di 40 anni, regalandola alla sua terra, pescando dalla danza popolare hasapiko e assestando un crescendo ossessivo che dal tragico passa al comico nel giro di poche battute. E la scena finale del film – uscito nel 1964 per la regia di Michael Cacoyannis – rievoca perfettamente il suo carisma. Zorba è un furbone, praticamente ha sottratto quasi tutto a Basil, anche i sogni. Eppure i due si trovano su una spiaggia, alla fine del viaggio. E Zorba gli dice: Ti voglio troppo bene per non dirtelo; tu, mister, hai tutto meno una cosa: la pazzia. Ci vuole un po’ di pazzia se no non potrai mai strapparti le catene di dosso ed essere libero”. «Insegnami a ballare» risponde John. Teach me to dance. Risate grasse e via con un sirtaki da capogiro.

ERA MALATO da tempo e profondamente provato, Mikis Theodorakis. Più che dalla pandemia, da tutto ciò che di malato e perverso accade quotidianamente nel mondo e in particolare nel suo paese che ha amato e disprezzato in misura uguale. Negli anni Sessanta del Novecento aveva contribuito in maniera vistosa al rinnovamento culturale della Grecia. Dopo i campi di concentramento e la deportazione riuscì a diplomarsi al conservatorio dell’Odeion, e a perfezionare gli studi a Parigi. Poi inizia a girare: Da Parigi va a Londra, poi passa in Russia e finisce in Italia. Divide il suo operato tra le sinfonie di matrice colta e le canzoni popolari.

Da noi scrive per Iva Zanicchi e Milva addirittura. Sotto la dittatura la sua musica viene proibita ma in qualche modo rimane la voce di chi soffre, di chi lotta e di chi non si da pace. Per il cinema lo chiamano Costantin Costa-Gravas (Z-L’orgia del potere e L’Amerikano) e Sindey Lumet per Serpico. È profondo, schietto, rigoroso nell’analisi perfetta delle scene e calibra perfettamente la grammatica nel vestire sonoramente i personaggi. Il primo concerto lo tenne quando aveva 17 anni e si trovava a Tripoli, da lì un’infinità di concerti, festival, rassegne e raduni fino a pochi anni fa. Memorabili alcune song con testi di poesie di poeti come Giannis Ritsos, George Seferis, Pablo Neruda e Odysseas Elytis.