Stasera comincia il Mondiale di Calcio. È tempo di schierarsi. In tempi passati abbiamo tifato Camerun (ricordate?). Abbiamo tifato pure Ghana, con un po’ di spirito di contraddizione e per molte buone ragioni in nome degli ultimi della terra. Stavolta tiferemo convinti Brasile. Brasile, non Neymar. Il nostro piccolo e sommesso inno – niente samba, niente ritmi latini – sarà quello scritto dal cantautore Edu Krieger, Desculpe Neymar: «Mentre la Fifa si preoccupa per i padroni, noi siamo governati da ladroni, abbiamo stadi belli e monumentali, ma crollano a pezzi scuole e ospedali».

Tifiamo il Brasile che scende in piazza a chiedere conto degli 11 miliardi e mezzo di dollari spesi per gli stadi. A chiedere giustizia, come è successo ancora ieri di fronte all’Arena Amazonia di Manaus, per i quattro operai morti nei lavori di costruzione, i 203 milioni buttati in una città che non ha neppure una squadra di serie A. Parleremo di Italia-Inghilterra of course, la prima partita che andrà in scena sabato notte in quello stadio, e ci sarà tutto il tempo. Oggi tifiamo per chi, nella patria del futebol-arte, dice pure: «Non tiferemo il Brasile perché non vogliamo dare un alibi al governo». Tifiamo per chi sa tifare contro. Il nazionalismo idiota non ci interessa. L’epica del calcio popolare, sì. Sempre.

Tifiamo per il calcio. Per chi guarderà le partite, soffrirà e tiferà, senza farsi «annebbiare la vista» dal «piccolo potere feudale» di chi organizza questi Mondiali. E conosce bene, invece, il potenziale di «trasformazione sociale di questo fenomeno giocato con i piedi». Sono parole di Socrates il calciatore, l’inventore della democrazia corinthiana – l’autogestione dello spogliatoio – scritte nel 2007 dopo l’assegnazione della competizione al Brasile (il pezzo, bellissimo, sta tutto sullo scorso numero di Alias). Tifiamo democrazia, Socrates, e citiamo Cruyff: «Mi piace il calcio, ma non quello di oggi».

Su questi Mondiali, sui prossimi, e sul «calcio di oggi» pesa come un macigno il lapsus (la gaffe, chiamatela come volete) del segretario della Fifa, Jerome Valcke: «Troppa democrazia è un impiccio quando si organizza un Mondiale». Parole dette giusto un anno fa. Quello brasiliano sarà l’ultimo Mondiale a svolgersi in un paese democratico per il prossimo decennio. Nel 2018 la kermesse planetaria si svolgerà in Russia. Nel 2022 in Qatar, probabilmente in autunno per via della temperatura, probabilmente negli stadi ad aria condizionata già in via di costruzione con metodi schiavistici secondo quanto denunciato dalle organizzazioni internazionali.

Il Qatar è uno degli stati che negli ultimi anni ha immesso più soldi di tutti nel business calcistico, senza dover darne conto a chicchessia. Proprio per questo, anzi. È proprietario della squadra parigina del Psg, ed è in corsa per aggiudicarsi una fetta dei diritti televisivi in Italia e in Spagna. Un’inchiesta del Sunday Times svela la corruzione e gli accordi sottobanco che hanno portato al voto favorevole per l’assegnazione dei Mondiali all’Emirato. La Fifa ha appena concluso un’inchiesta interna al riguardo i cui risultati sotto attesi dopo l’estate, e potrebbero pure portare alla revoca dell’assegnazione, ma i segnali non sono positivi.

«La multinazionale Fifa si sta mangiando il pallone», grida intanto Maradona. Un’inchiesta del New York Times si chiede, gelida: «Il calcio può fare a meno della Fifa?». Sepp Blatter, il potente monarca da 15 anni alla testa dell’organizzazione calcistica internazionale, ha prima ammesso che l’assegnazione al Qatar era stata «un errore». Poi ha denunciato il «razzismo» dei giornalisti inglesi. Ieri, infine, aprendo il congresso della Fifa a San Paolo non ha detto niente. Si è chiesto invece: «Possiamo chiederci se un giorno il calcio si potrà giocare su un altro pianeta. Perché no? Non avremo più una Coppa del Mondo, ma dei campionati inter-planetari». Certo, come no? L’astronave è già pronta. Addio.