Nella lingua di Cervantes e di Bernal la parola puerto indica sia il porto di mare che il valico montano. Il porto delle nebbie per i personaggi di Maigret è quello attorno alla chiusa di Ouistreham, stavolta per il gruppo è la vetta dello Zoncolan. Bruma freddo e neve attendono Lorenzo Fortunato che coglie, arzillo sopravvissuto della fuga di giornata, la prima vittoria in carriera nella prima sua presenza al Giro.

Il profilo dell’investigatore chiamato a far luce sull’intricata vicenda della classifica generale non è quello paffuto con la pipa di Maigret, ma quello affilato col nasone di Bernal che ne approfitta per dare un ulteriore colpo al morale, più che al cronometro, della concorrenza.

Se siamo a celebrare la bella e scanzonata avventura di un giovane di belle speranze, e non lo scontro epico tra i grandi, è perché sin dalla mattina si erano scontrate opposte culture del ciclismo. Partita la solita fuga di ottimi pedalatori fuori classifica, la Ineos di Bernal aveva preso a traccheggiare, lasciando lievitare il vantaggio degli evasi. A quel punto Beppe Martinelli, decano dei direttori sportivi, si era assunto il compito non suo di tenere unita la corsa: “con tutto il rispetto per la fuga, una montagna come lo Zoncolan va onorata, deve vincere un campione che lotta per la generale. Mi piacerebbe chiedere agli direttori sportivi perché non fanno lo stesso”. Hanno però vinto i ragionieri in bicicletta, una cultura nuova del ciclismo figlia dell’egemonia anglosassone in gruppo, tutta tesa al calcolo del dettaglio, alla computerizzazione delle corse, che si fatica a capire quali migliorie abbia apportato a quello che rimane, prima di uno sport, uno spettacolo popolare.

Fatto sta che gli Ineos e gli altri si sono guardati bene dall’assecondare Beppe e la sua visione del ciclismo, e all’imbocco dell’ultima salita il vantaggio della fuga era incolmabile. Davanti il primo a rompere gli indugi è Tratnik, ma Fortunato è bravo a capire la pericolosità della fagianata (nel gergo del Magrini) dell’ucraino. Una volta formatasi una coppia, lo scontro è segnato dalla maggiore agilità dell’italiano, che contorceva sì il volto, ma l’altro procedeva addirittura a zig-zag.

Dietro il gruppo procedeva in lenta processione fino ai -3 dal traguardo, quando già si era arreso – definitivamente – Nibali nostro: lì uno scattettino di Yates sbriciolava definitivamente la resistenza di chi stava incollato solo per inerzia, compresa quella di Vlasov e di Beppe nella sua ammiraglia. Gli resisteva Bernal, che in vista del traguardo lo saltava per consolidare ancor di più il suo primato.