Un canto corale pubblicato nel 1946 in Foglio di via, la prima raccolta di versi di Franco Fortini. Ufficiale, profugo politico in Svizzera, rientrato nell’ottobre 1944 per partecipare agli ultimi fuochi della Repubblica partigiana della Valdossola, il giovane poeta fiorentino descrive in queste quattro martellanti quartine il dolore e l’orrore della guerra partigiana.

Non ci sono eroi né santini, ma “teste”, “bava”, “unghie”, “denti”, lacerti macabri di un espressionismo antiretorico che vuole restituire la dimensione tragica della ferocia nazifascista che annulla ogni essenza umana.

Come per il suo amato Manzoni, anche per Fortini il riscatto potrà avvenire solo dopo aver guardato in faccia l’orrore della storia. Il futuro di “libertà” e “giustizia” dell’ultima quartina sarà possibile solo se saremo capaci di portare con noi gli “occhi” e i “pugni” dei partigiani, solo se sapremo tenere vivo il dialogo con i morti.

La poesia fu letta da Umberto Eco alla Columbia University di New York al termine di un discorso fatto il 24 aprile 1995 nell’ambito delle celebrazioni della Liberazione dell’Europa dal nazifascismo.

(Donatello Santarone, 25 aprile 2020)

 

 

Franco Fortini, Canto degli ultimi partigiani

 

Sulla spalletta del ponte

Le teste degli impiccati

Nell’acqua della fonte

La bava degli impiccati.

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Sul lastrico del mercato

Le unghie dei fucilati

Sull’erba secca del prato

I denti dei fucilati.

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Mordere l’aria mordere i sassi

La nostra carne non è più d’uomini

Mordere l’aria mordere i sassi

Il nostro cuore non è più d’uomini.

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Ma noi s’è letta negli occhi dei morti

E sulla terra faremo libertà

Ma l’hanno stretta i pugni dei morti

La giustizia che si farà.