Cultura

«Fortezza Europa», le irregolarità fondate su interessi

«Fortezza Europa», le irregolarità fondate su interessi

SAGGI Le frontiere sono come membrane: in base a esigenze economiche e politiche «filtrano»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 5 maggio 2020

Sergio Bontempelli, membro dell’Associazione diritti e frontiere e presidente di Africa Insieme di Pisa, ha pubblicato un contributo utile a comprendere le politiche europee delle migrazioni. Il libro Fortezza Europa, pubblicato per Edizioni Helicon (pp. 224, euro 15) conferma l’assunto, che una parte della ricerca critica sta evidenziando: in Europa non ci sono solo le politiche migratorie degli Stati ma anche quelle continentali.

IL TESTO, dopo l’introduzione, segue un ordine storico. In cinque capitoli, vengono ripercorse le stagioni delle politiche migratorie in Europa dal secondo dopoguerra all’attualità. Nel primo capitolo vengono analizzate le migrazioni durante il cosiddetto boom economico, evidenziando la costruzione legale dei lavoratori ospiti e le misure, amministrative oltre che legislative, contro i migranti coloniali. Nel secondo capitolo si presenta il laboratorio inglese degli anni ‘60 tra restrizioni e politiche di anti-discriminazione sostenute dal laburismo. Il terzo capitolo mostra la svolta restrittiva degli anni ’70, con quelle che sono, ormai, riconosciute come le «politiche di stop», agite soprattutto dai paesi europei con maggiori tassi di immigrazione (primo tra tutti la Germania Federale, ma sono riportati anche i casi di Svezia, Olanda e Austria) e implementate mentre iniziano a sperimentarsi le prime forme di libera circolazione per i cittadini europei.

IL QUARTO CAPITOLO è quello dell’escalation degli anni ‘80, caratterizzati dallo scacco alle politiche restrittive, dalla diffusione dello strumento di regolazione del permesso di soggiorno e dal ritorno sulla scena politica dei discorsi e dei partiti xenofobi. Il quinto capitolo pone in rilievo quello che viene definito l’apogeo degli anni ‘90 e del nuovo secolo, caratterizzati dalla fine dell’Unione Sovietica, dall’implementazione del Trattato di libera circolazione di Schengen, dall’irruzione delle lotte delle persone senza documenti, dalle politiche controverse del nuovo centro-sinistra e dagli equivoci del multiculturalismo, fino a giungere alla crisi dell’asilo e alla cosiddetta crisi dei rifugiati degli ultimi anni.

INFINE, NELLE CONCLUSIONI si pone il tema dei limiti dell’ortodossia restrittiva e della necessità di superarla per costruire un regime di mobilità ma anche di rapporti tra economie, Stati e popolazioni fondati sulla giustizia e non sulla gerarchia selettiva e punitiva. Il libro ricostruisce una storia articolata, in cui la tensione tra diritti e interessi economici e politici è stata permanente, ponendo al centro un orientamento che si è manifestato con sostanziale continuità sin dalle origini degli anni ‘50 del secolo scorso: quello del contenimento delle migrazioni e della loro subalternità alle necessità delle economie nazionali e continentale, anche ai fini del mantenimento o della conquista del consenso elettorale.
Questa continuità giunge fino ai tempi recenti degli accordi tra Unione Europea e Turchia e tra Italia e Libia, tanto che Bontempelli scrive: «da almeno quarant’anni la preoccupazione quasi esclusiva dei governi è stata quella di espellere, allontanare, ridurre diritti e garanzie, impedire nuovi ingressi, chiudere frontiere, innalzare muri». Con quali esiti? Determinare irregolarità per produrre manodopera indebolita.

COME CI HANNO SPIEGATO gli studi delle frontiere, le politiche di governo delle migrazioni gestiscono la mobilità umana come una membrana. Seguendo questa metafora proposta da Sandro Mezzadra e Brett Neilson, si comprende che le politiche di gestione non chiudono mai del tutto i passaggi: le frontiere funzionano come membrane che, in base alle esigenze economiche e politiche prevalenti delle società e degli Stati di immigrazione, filtrano le popolazione in fuga in maniera differenziata nel tempo e nello spazio.

LE FRONTIERE, in questo senso, sono parte del funzionamento dell’economia politica europea e delle sue economie nazionali e sono sottoposte ad interessi economici e politici che tendono a trasformare chi migra in merce nei rapporti di lavoro così come sul mercato della propaganda. Questo dispositivo ha una lunga vita, come mostra il testo, e tende, così, a riprodurre sempre i suoi limiti, che sono anche espressione dei limiti delle democrazie europee: incapaci di potere favorire processi di emancipazione, sia per la popolazione che migra, costretta da tali politiche in condizioni durature di difficoltà materiali, sfruttamento, razzismo e subalternità, sia per le società di immigrazione, vincolate nella gabbia corrosiva della paura.

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