Jamal Khashoggi

L’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, compiuto nell’ottobre del 2018 a Istanbul da agenti dei servizi di sicurezza giunti da Riyadh, potrebbe essere stato parte di una strategia più ampia finalizzata a colpire dissidenti e oppositori sauditi rifugiati all’estero. Una conferma indiretta arriva dalla Norvegia. Il quotidiano Dagbladet rivela che all’inizio dell’estate del 2018, quindi poche settimane prima della brutale uccisione di Khashoggi, la Norvegia si trovò di fronte a un’insolita richiesta giunta dal governo del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman: riconoscere lo status di diplomatico a dieci uomini, tutte guardie di sicurezza, che Riyadh si accingeva ad inviare alla sua ambasciata a Oslo. La cosa insospettì le autorità norvegesi che, dopo averla esaminata con attenzione, la respinsero per nove delle dieci persone. Di fronte a ciò, aggiunge Dagbladet, il servizio di sicurezza della polizia (Pst) mise in allerta Iyad al Baghdadi, un’attivista di origine palestinese rifugiato politico in Norvegia che ha denunciato a più riprese le violazioni dei diritti umani in Arabia saudita.

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Alle rivelazioni del quotidiano, l’ambasciata saudita ha replicato parlando di accuse «inventate e false» volte «ad insultare l’Arabia Saudita». Le autorità norvegesi non si sono sbilanciate più di tanto però hanno confermato di essere rimaste sorprese dalla richiesta di Riyadh che aveva già 18 diplomatici registrati ad Oslo. Dagbladet sottolinea che l’unica persona che all’epoca si vide riconosciuto lo status di diplomatico in realtà è il capo della sicurezza dell’ambasciata saudita. Considerando quanto è accaduto poco dopo a Jamal Khashoggi, ucciso e fatto a pezzi da uomini della sicurezza nel consolato saudita di Istanbul, si fa fatica a non immaginare una situazione di grave pericolo anche per Al Baghdadi che era stato in contatto con il giornalista assassinato. In passato l’attivista palestinese aveva denunciato di essere stato minacciato di morte da Saud al Qahtani, ritenuto dalla Cia e dall’Onu come il supervisore dell’operazione Khashoggi avallata da Mohammed bin Salman.

Il personale di sicurezza delle ambasciate non gode in Norvegia dell’immunità, a differenza dei diplomatici. Da qui il sospetto che quell’insolita richiesta fosse finalizzata a garantire una via di fuga dal paese in qualsiasi momento alle dieci guardie di sicurezza. Nel caso di Jamal Khashoggi, gli agenti abbandonarono subito la Turchia dopo aver commesso l’assassinio e rientrarono in Arabia saudita. Ritenuto da più parti il mandante occulto di quella operazione, Mohammed bin Salman è sfuggito a qualsiasi indagine internazionale grazie anche alla protezione che gli ha garantito Donald Trump.