In vista dell’incontro governo-sindacati di lunedì sulle pensioni si sta scatenando il solito putiferio di indiscrezioni sulla proposta del governo.
Nel frattempo viene spacciata come novità la posizione dei sindacati che chiedono di «cancellare la riforma Fornero» – cosa promessa e mai fatta da Salvini (e il M5s) con Quota 100 che la farà tornare praticamente come prima nel 2022 – e di introdurre una flessibilità in uscita a partire dai 62 anni.

In realtà la posizione di Cgil, Cisl e Uil è la stessa e non è cambiata dall’ormai lontano 10 giugno 2014. Quel giorno di cinque anni e mezzo fa gli allora segretari Camusso, Bonanni e Angeletti riunirono le segreterie confederali e lanciarono la «piattaforma unitaria su Fisco e previdenza». A pagina 9 il capitolo «Le politiche previdenziali» si apre addirittura con una citazione di Carlo Cottarelli, allora responsabile del dipartimento Affari fiscali dell’Fmi che «affermava come il miglior sistema “nell’arco dei prossimi 20 anni sullo sviluppo della spesa pensionistica” fosse proprio quello italiano». La critica alla riforma Fornero – «sono stati prelevati nel periodo 2013-2020 circa 80 miliardi di euro come si evince dal Rapporto Inps», «la manovra, fatta quindi solo per fare cassa, ha colpito pesantemente i diritti di tutti: giovani, donne, pensionate e pensionati» – portava alla richiesta «di ripristinare la flessibilità per la pensione di vecchiaia in un arco temporale che parta da 62 anni senza ulteriori penalizzazioni rispetto a quelle già insite nel sistema di calcolo contributivo».

L’ANNO SEGUENTE – 2015 – la piattaforma divenne un volantino rivendicativo dal titolo «Cambiare le pensioni» in cui si chiedeva «accanto alla reintroduzione della flessibilità occorre prevedere la pensione anticipata con 41 anni di contributi per tutti, senza penalizzazioni e senza collegamento con l’attesa di vita», introdotta da Sacconi e accelerata fortemente dalla Fornero, quel meccanismo perverso che porterà l’età per la pensione di vecchiaia a 70 anni fra un decennio.

Negli anni seguenti invece è stata affinata la proposta di una pensione di garanzia per i giovani e precari pari a circa 1.000 euro con 40 anni di attività, intesa come anni in cui si è lavorato anche senza continuità.
Ribadita la storia degli ultimi anni è dunque facile capire perché i sindacati siano contro la proposta del presidente dell’Inps Pasquale Tridico di «una uscita a partire da 62 anni con ricalcolo interamente contributivo dell’assegno» – sarebbe una penalizzazione forte, in molti casi superiore al 30 per cento – e perché fanno quanto meno sobbalzare le stime che parlano di un costo di 20 miliardi – rispetto a cosa non è specificato – per introdurre la modifica. E fanno ancora più sobbalzare le posizioni dell’ex ministro Elsa Fornero – che ha scritto una lettera alla Stampa contro Maurizio Landini – e di tanti liberisti che chiedono di mantenere la riforma in nome dei giovani: per loro l’eta di pensionamento è stata allungata almeno di un decennio e gli assegni tagliati almeno del 40% proprio «grazie» a Elsa Fornero.

QUANTO AL RAPPORTO fra previdenza e fiscalità generale – per non parlare del feticcio del «sistema a ripartizione» – basterebbe ricordare che ogni anno il bilancio dell’Inps è reso sostenibile dai trasferimenti dello Stato.

Assodato che lunedì al tavolo Cgil, Cisl e Uil si siederanno avendo dalla loro una comprovata coerenza nel chiedere di cancellare la Fornero e i 62 anni, l’attesa è per ciò che proporrà il governo.

LA MINISTRA NUNZIA CATALFO del lavoro e la sottosegretaria Francesca Puglisi hanno anticipato posizioni differenti con alcuni punti fermi comunque importanti. Intanto la volontà di utilizzare per le modifiche alla Fornero i risparmi derivanti dal flop Quota 100 – almeno 6,2 miliardi nel triennio – e il via libera alla flessibilità in uscita – da stabilire se a 62 o 64 anni e con quanti contributi minimi – e al riconoscimento del lavoro di cura delle donne. Sulla pensione di garanzia le posizioni sono più sfumate anche se tutti promettono un intervento.