«Ma a che cosa serve un libro senza figure?»; nell’accostarsi al volumetto parole&figure di Emilio Tadini, ottimamente curato da Matteo Bianchi per la casa editrice svizzera Pagine d’Arte (pp. 151, euro 25,00), al lettore non potrà che tornare in mente questa frase di Alice in Wonderland. A quindici anni dalla morte e a novanta dalla nascita (era nato a Milano nel 1927), la prima uscita di una collana interamente dedicata al rapporto testo-immagine getta un’inedita luce sul laboratorio creativo di una delle figure più suggestive del nostro Novecento artistico e letterario.
«Un pittore che scrive, uno scrittore che dipinge» disse di lui Umberto Eco; Emilio Tadini è stato in realtà molto altro: esordì ventenne sul «Politecnico» di Vittorini e tutti si sarebbero aspettati una carriera di poeta, ma presto lo si vide dedicarsi al teatro, alle traduzioni degli amatissimi Faulkner e Céline e a una critica d’arte mossa e aforistica, che non esita a prendere per mano il lettore. La prima personale e il ciclo colto e pop della Vita di Voltaire segnano gli esordi di un fortunato itinerario pittorico, ma Tadini torna a disattendere le aspettative: del 1963 è Le armi l’amore, primo romanzo d’una lunga serie (L’opera, La tempesta, Eccetera; ma il più riuscito rimane La lunga notte) che dagli anni ottanta in poi inizierà ad affiancarsi con regolarità alla produzione pittorica. Al côté creativo si sovrapporranno poi una robusta vocazione saggistica e l’appassionata partecipazione alla vita culturale della sua città, culminata con la direzione dell’Accademia di Brera tra il 1997 e il 2000.
Più che davanti a un pittore-scrittore ci troviamo di fronte a un inesausto esploratore di forme e idee che parole&figure ha il merito di farci toccare nell’affascinante materialità del loro farsi, pagina dopo pagina. Il curatore ha selezionato sessanta fogli tra i più di cinquecento raccolti nei quaderni ad anelli ora conservati allo Spazio Tadini di Milano, dando vita a un inedito libro-collage in cui segno e disegno, riflessione e visione si intrecciano in modo sorprendente. Su un fondo bianco prende vita un universo di colori primari che vengono stesi sui fili come fossero panni, frecce e strumenti del mestiere che si animano per dire la loro, in una serie di «conclusioni provvisorie» sul rapporto tra pittura e scrittura che appare rapsodica solo a un’occhiata superficiale. In realtà l’insieme di schizzi, appunti, rebus selezionati si scandisce in tre nuclei di riflessione ben precisi: le prime venti immagini si concentrano sul colore, le successive invece sulla memoria e infine sul linguaggio.
Tadini individua feconde e insospettate analogie tra due codici felicemente non sovrapponibili attraverso una conoscenza specifica di entrambi i mestieri: così nel foglio 11 ci viene presentata una busta sigillata con tre macchie di colore e al di sotto appare la scritta «Lettera sull’arte», quasi che i colori fossero l’equivalente delle lettere dell’alfabeto attraverso cui l’artista dice la sua. Sulla radice comune che lega le due arti torna anche il foglio 42: «Il poeta e il pittore pensano entrambi con immagini visive: la memoria è un’arte che suscita una dimensione in cui il ricordare diventi vedere». Nell’ultima parte predominano invece collages di stampo dada-surrealista che procedono per analogie e scarti imprevisti, con sequenze fotografiche (su tutte quella con i diversi modi per tenere una matita) a metà tra la Nadja di Breton e gli esperimenti del primo Munari.
A quali genealogie intellettuali ricondurre tanto esprit? «Tadini – spiega Carlo Arturo Quintavalle nell’introduzione – viene da “Tel Quel”, da Derrida, Roland Barthes, da De Saussure, viene dalle analisi dei linguaggi ma anche da quelli dell’immagine, e dunque da Courbet, da Cézanne, dalla critica pop inglese a quella americana». Tutto senz’altro vero; ma il suo universo di forme lievi ricorda in primis l’arte di Giorgio Griffa, su cui Tadini stesso scrisse parole significative: «È come se, nel clamore di tutta la storia della pittura, ci si sforzasse di riconoscere di nuovo le note, i ritmi, fondamentali». Parole&figure sembra tendere alla stessa essenzialità, e sorprende non trovare nei fogli di questo alfabeto visivo un anagramma a lui caro, IMAGE-MAGIE: perché è dall’immagine-parola che sempre in lui si libera l’immaginazione fantastica.