Si è perso molto tempo negli anni del nuovo secolo, anche nel nostro Paese, a discutere sull’effettiva contemporaneità della pittura: è ancora «lecita», nel solco della tradizione, o è anacronistica? «Dum loquimur Sagunto capta», ammonivano gli antichi. Ed è vero: la storia si fa altrove, oltre le nostre discussioni viziate dagli estremismi. La pittura esiste ed è florida e rigogliosa, come dimostra la pregevole personale di Giovanni Frangi La legge della giungla, alla Galleria M77 di Milano fino al 12 settembre. La mostra pone questioni rilevanti sulla pratica della pittura iconica e sulla sua totale indipendenza da quella che siamo soliti chiamare realtà, raccogliendo oltre trenta opere di formato estremo, di piccola o grandissima dimensione (cosa frequente nel lavoro dell’artista), capaci cioè di rapportarsi nei confronti dell’osservatore con due dinamiche contrapposte: estrema concentrazione visiva o grande diluizione dello sguardo. Realizzate negli ultimi due anni, sono incentrate tematicamente sul mondo delle foreste e sulla vita vegetale che vi pullula. Fiori dalle più disparate forme e dai vividi colori, ninfee che spaziano dai toni verde acqua a quelli più acidi, e poi un’intricata selva di alberi, dove tronchi verticali e rami si intrecciano stagliandosi a silhouette bidimensionale su fondi monocromi rossi, viola, grigi, menta, terra. Sono questi i soggetti delle tele, che portano lo spettatore a immergersi in un viaggio visivo all’interno di un mondo caratterizzato da grande varietà cromatica e da una sorprendente vitalità, in cui gli elementi vegetali non esitano a mostrare la propria forza primigenia, l’infinita e incessante capacità generativa che sembra quasi sfidare lo scorrere impetuoso del tempo. Il paesaggio, urbano o naturale, il giardino e il bosco sono stati, dalla fine degli anni novanta, alcuni dei Leitmotiv della ricerca dell’artista, ugualmente presenti sia nella pratica di una pittura caratterizzata dall’uso del colore che in quella più asciutta in bianco nero, dai toni più moderati ed essenziali. Pennellate di olio puro, distribuito per accostamento o sovrapposizione, e un segno capace di sintetizzare i profili degli elementi naturali sono i principali elementi stilistici di Frangi, che agisce in maniera sintetica isolando coloristicamente i soggetti dal contesto (uno sfondo a tinta piatta), mentre il disegno delinea le linee di forza dentro cui si srotolano gli elementi principali della composizione. In questa Legge della giungla l’artista sviluppa appieno le tendenze espressive che erano già in atto nelle personali Sheherazade al Museo di San Matteo di Pisa e Lotteria Farnese ospitata all’Archeologico di Napoli, portando a compimento la tendenza a una pratica artistica che smette progressivamente di essere descrittiva per farsi composizione, colore, spartito musicale. La notevole forza coloristica, il segno vivido di particolare sensualità inducono infatti l’osservatore a percepire il soggetto della tela essere, in ultima istanza, quasi un pretesto iconografico. Nell’eliminazione dei dettagli, nella pressoché totale assenza di descrizione e di narrazione, la mostra pare così indicare la tendenza verso una totale autonomia della ricerca di Frangi da quel fluire continuo di immagini che è la realtà. Alla sua copia mimetica o alla sua reinterpretazione figurativa su tela, l’artista milanese contrappone una forza gestuale e coloristica in grado di condurre più in là, verso una totale indipendenza della pittura da qualsiasi pezzo di mondo visto o preesistente. Per Frangi il soggetto sembra infatti ormai essere diventato al limite della rilevanza, concettualmente fluido e scarso portatore d’interesse, se non quello per le sue possibili potenzialità manipolatorie. La legge della giungla apre forse per l’artista una fase in cui la figurazione potrebbe scomparire lasciando posto a una pittura che progressivamente diventa libera, lirica e pura.