Con la sentenza n. 170 del 2019, pubblicata ieri, la Corte costituzionale ha respinto tulle le eccezioni di incostituzionalità relative all’assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal decreto legislativo n. 177 del 2016 in attuazione della legge n. 124 del 2015. Va subito detto che sul terreno della semplificazione e del riordinamento dei corpi di polizia la cd. “legge Madia” ha partorito un topolino dal punto di vista quantitativo perché ha eliminato il Corpo di polizia numericamente più ridotto senza affrontare in alcun modo la questione della pluralità e della sovrapposizione di competenze, ma dal punto di vista qualitativo ha imposto una soluzione grave e che è stata oggetto di seri dubbi di illegittimità.

LA CORTE NON È STATA di questo parere e lo ha fatto per alcune questioni con argomenti opinabili, ma comunque sostenibili, per altre con motivazioni sbrigative e inaccettabili. Fra le prime rientra quella della necessità, sostenuta dai ricorrenti, non di un semplice parere, ma della intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, stante l’incidenza della normativa sulla materia regionale “agricoltura e foreste”, necessità che è stata respinta in ragione della natura esclusivamente statale delle competenze in gioco.

Fortemente criticabile è invece la negazione dell’eccesso di delega e della illegittimità del decreto legislativo per violazione della legge di delegazione, il primo sostenibile perché la legge si limitava a prevedere genericamente l’assorbimento del Corpo forestale in uno degli altri Corpi di polizia senza una adeguata indicazione di principi e criteri direttivi, la seconda perché il decreto decideva direttamente la sua integrazione nell’Arma dei carabinieri.

In sostanza l’argomento di fondo utilizzato dalla Corte si fonda sulla semplice constatazione che l’Arma fa parte delle forze di polizia e sulla sua diffusione capillare sul territorio che renderebbe più congruo l’assorbimento del Corpo forestale al suo interno anziché in altri Corpi come la Polizia di Stato. Qui è già rilevabile una ingiustificabile sottovalutazione dalla natura militare dell’ordinamento dell’Arma, che la Corte cerca più avanti di stemperare affermando che “la specificità dell’ordinamento militare rispetto a quello civile è stata in parte mitigata” da una sua precedente sentenza con la quale ha consentito ai militari di costituire associazioni sindacali e dalla giurisprudenza amministrativa che ha riconosciuto il diritto dei militari di iscrizione ai partiti politici e di elettorato passivo.

ORA, LA MITIGAZIONE di cui si parla non vale certo, come la stessa Corte riconosce, ad annullare le profonde differenze di ordinamento interno e di status giuridico dei componenti tra l’Arma i Corpi di polizia civili. E proprio su questo piano era sostenibile che, se accorpamento del Corpo forestale doveva esservi, sarebbe stato più logico e congruo stabilirlo nei confronti della Polizia di Stato.

Ma il punto decisivo e più preoccupante della sentenza è rappresentato dal giudizio che viene formulato sulla trasformazione dello status dei forestali da civile a militare. Per la Corte verrebbe operato un bilanciamento “non implausibile” tra la salvaguardia dei diritti fondamentali dei forestali e le esigenze di maggiore efficienza della tutela ambientale e di migliore utilizzazione delle risorse economiche. Ciò anche alla luce del fatto che il passaggio allo stato militare non sarebbe coattivo ma oggetto di una liberta scelta. Ora, quest’ultima affermazione è del tutto contestabile in quanto su un totale di quasi 8.000 forestali l’assegnazione ad altri Corpi statali o al Ministero delle politiche agricole e forestali era consentita a meno di 600 componenti. Gli altri potevano chiedere il passaggio, in numero sempre limitato, ad altre amministrazioni statali individuate con decreto del Presidente del Consiglio, con conseguente privatizzazione del rapporto di lavoro. Nella sostanza per la grande maggioranza dei forestali il passaggio all’Arma dei carabinieri non è stato affatto oggetto di una libera scelta, ma di uno stato di necessità imposto dall’esigenza di non trovarsi in una situazione non deteriore, se non dal punto di vista economico, sotto il profilo professionale, e dal numero oltremodo ridotto delle eccezioni consentite. Va ribadito a tal proposito che parliamo di dipendenti dello Stato che hanno vinto un concorso pubblico per l’accesso ad un ordinamento di tipo civile, hanno un’età media che si avvicina a 50 anni e un periodo di servizio di circa 15-20 anni.

MA SOPRATTUTTO GENERICHE esigenze di efficienza e contenimento dei costi, peraltro per nulla dimostrate nel caso concreto, possono bilanciare in modo “non implausibile” la mancata salvaguardia di diritti fondamentali come quelli sanciti negli articoli 2, 3 e 4 della Costituzione? La giustificazione della militarizzazione di un Corpo civile dello Stato al di fuori di esigenze eccezionali o straordinarie (come lo stato di guerra o simili) determina un precedente di estrema pericolosità. Come si può escludere che in futuro quel precedente possa essere utilizzato per giustificare la militarizzazione (magari temporanea) di altri Corpi di polizia o di altri comparti civili della Pubblica Amministrazione sulla base di generiche esigenze di tipo securitario o in vista di una teorica riduzione dei costi?