Ahmed al-Mismari, il portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) di Khalifa Haftar, era stato chiaro giovedì sera quando, contrariamente a tutti i principali attori internazionali che concordavano sul porre fine alle violenze in Libia, aveva respinto la richiesta di tregua per la mezzanotte del 12 gennaio avanzata da Russia e Turchia tre giorni fa. «Accogliamo con favore l’invito di Putin ad un cessate il fuoco – aveva spiegato rivolgendosi soprattutto all’alleato russo – tuttavia, la nostra battaglia contro le organizzazioni terroristiche che hanno preso il controllo di Tripoli e che hanno ricevuto il sostegno di alcuni stati continuerà fino alla fine».

Alle parole del portavoce dell’Enl – braccio armato del parlamento di Tobruk rivale a quello del Governo di Accordo nazionale di Tripoli (Gna) riconosciuto internazionalmente – sono seguiti immediatamente i fatti: nelle ultime ore le forze di Haftar sono penetrate nel villaggio di al-Washka (100 chilometri a ovest di Sirte) e, dopo ore di combattimenti, hanno avuto la meglio anche delle milizie pro-Gna nella città occidentale di Abugrein.

Ma la vera partita militare si sta giocando da giorni a Misurata, nell’ovest del Paese. La tensione è altissima in città dove le forze di sicurezza misuratine hanno istituito due giorni fa il coprifuoco notturno e dove l’aviazione dell’Enl ha già compiuto diversi raid contro l’Accademia militare. Ma il fatto di cronaca più rilevante è forse avvenuto ieri pomeriggio quando fonti locali citate dal quotidiano panarabo «al-Arab» hanno riferito che tre militari turchi sono rimasti uccisi negli scontri con gli uomini di Haftar.

Una notizia che, se verrà confermata ufficialmente da Ankara, potrebbe avere ripercussioni geopolitiche importanti vista la nazionalità delle vittime. Quel che è certo è che nelle ultime settimane l’avanzata dell’Enl contro le milizie «terroristiche» di Tripoli è inarrestabile. Ora che ha il vento in poppa – anche grazie all’importante contributo di elementi esterni, tra cui spiccano i mercenari russi del gruppo Wagner – Haftar sa che conquistare altro territorio in questa fase vuol dire avere maggiore forza negoziale quando le armi taceranno.

In questo clima di caos assoluto, la diplomazia sembra servire davvero a poco. Prima di partecipare ieri alla riunione di Bruxelles dei ministri degli Affari esteri europei su Iraq, Iran e Libia, il ministro degli esteri italiano Di Maio è tornato a ripetere quello su cui, almeno a parole, concordano tutti i protagonisti della vicenda libica: «Bisogna fermare ogni tipo d’interferenza esterna» e «La soluzione è politica».

Sulla stessa lunghezza d’onda è l’inviato dell’Onu in Libia Ghassan Salama che ieri ha invitato i rappresentanti delle assemblee legislative di Tripoli e Tobruk ad avviare discussioni politiche entro gennaio. «La chiave della soluzione è nelle mani dei libici – ha detto – sono gli unici che possono trovare una soluzione alla loro crisi». Guardando l’avanzata di Haftar non si può che dissentire.