Now’s the Time: il momento è adesso. Draghi non lo dice apertamente nella presentazione del Pnrr alla Camera ma il senso del messaggio è chiaro sin dall’esordio, con il richiamo al 25 aprile, la citazione di uno scritto di De Gasperi del 1943, «A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani», e un monito preciso: «Ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite e forse non vi sarà più tempo per porre rimedio». Riprende il tema in conclusione, dopo aver elencato i punti in cui si articola il piano: «Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto per il futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti».

NON È RETORICA. Si possono spulciare a volontà il Piano di questo governo e quello di Conte e Gualtieri alla ricerca di somiglianze e differenze ma lo scarto è nella portata della sfida. Il governo gialloverde era deciso a prendere per intero la quota del Recovery Fund a fondo perduto ma pensava di accedere solo alla metà di quella in prestito, procedendo con gradualità. Come farà la stragrande maggioranza degli altri Paesi europei. Come probabilmente Bruxelles avrebbe preferito che facesse anche l’Italia.

Draghi ha deciso diversamente. Ha scelto di accedere all’intero prestito per giocarsi subito tutto, nella convinzione che il momento sia questo e che ora sia necessario osare. Una decisione sulla quale ha pesato la convinzione, più volte esposta anche prima di insediarsi a palazzo Chigi, che questa sia l’ora di fare debito, purché «buono», senza limitazioni. Di sicuro ha inciso la situazione dell’Italia, il Paese che ha fatto più debito di tutti per fronteggiare i costi sociali della pandemia e che registra ugualmente un Pil peggiore degli altri. Sintomo evidente di una crisi strutturale che per Draghi va aggredita tutta insieme e subito.

È PROBABILE CHE ANCHE questa scelta sia stata al centro della raffica di telefonate fra Draghi e tutti i vertici della Commissione Ue di sabato. Di sicuro c’era un problema sulle troppe strade da costruire previste dal Piano, che infatti sono sparite dalla versione finale. Altrettanto sicuramente c’è stata una richiesta di garanzie sui tempi di attuazione delle riforme, e il premier ha messo in gioco il suo nome e il suo impegno personale, si è reso non solo regista ma anche garante. Ma è probabile che anche la scelta chiave di giocarsi tutto sia stata discussa nei particolari.

SI TRATTA DI UNA DECISIONE gravida di conseguenze: Roma doveva esserne consapevole. La sfida lanciata da Draghi vincola il governo italiano fino alla fine della prossima legislatura, nel 2026. Traccia un percorso obbligato dal quale nessuno potrà uscire, chiunque vinca le prossime elezioni. I controlli saranno frequenti e occhiuti. Le condizionalità ci saranno tutte. I problemi nella maggioranza, se ci saranno, emergeranno quando questo sarà chiaro. Al momento si tratta solo di teatro. Salvini finge di considerare un’ora in più di apertura serale con un paio di settimane d’anticipo come la linea del Piave. Letta e Conte, che ormai si sentono quotidianamente, stanno al gioco perché sperano di spingere così la Lega ai margini o meglio ancora fuori dal governo e martellano sulla doppia faccia di Salvini, che sta al governo ma spalleggia l’ordine del giorno Meloni contro il coprifuoco. Il leghista però non ha alcuna intenzione di abbandonare la maggioranza e Draghi non farà niente per allontanarlo. Perché il Piano abbia successo le Regioni devono fare la loro parte e con la Lega all’opposizione sarebbe difficile agguantare l’obiettivo.

MA LA MESSA IN SCENA regge senza far traballare il governo proprio perché il braccio di ferro è su un punto che tutti sanno essere secondario. Le cose potrebbero cambiare quando la Lega, ma anche i 5S, si troveranno di fronte a una riforma delle pensioni che non potrà andare nella direzione indicata dalla bussola leghista o quando i sovranisti, conclamati o meno, dovranno fare i conti con una riforma della concorrenza che dovrà aprire anche alla partecipazione delle aziende europee.

DRAGHI HA UN MOTIVO in più per procedere a tappe forzate. Solo se per la prossima primavera l’intero Piano sarà tanto avviato da non poter più essere disatteso potrà passare a sorvergliarne il percorso non più da palazzo Chigi ma dal Quirinale. In caso contrario dovrà restare al posto che occupa ora e la corsa al Colle diventerà un rodeo.