Sono 37,596 miliardi di euro, non 30, i residui dei fondi europei. Il Ministro Trigilia (in conferenza stampa il 26 agosto e sull’Unità il 27 agosto) e Sergio Rizzo (il 24 agosto sul Corriere della Sera) hanno correttamente ricordato i 30 miliardi avanzati di Fondo Sociale Europeo (Fse) e Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Fesr); occorre aggiungere quasi 8 miliardi residui del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (Feasr). Con queste risorse l’Italia avrebbe dovuto riprogrammare lo sviluppo del suo sistema produttivo.
Sui fondi europei diversi sono i nodi cruciali: l’entità precisa delle risorse, l’accelerazione della spesa e le politiche produttive: quali beni produrre ed esportare, quali filiere della ricerca e quali infrastrutture sono necessarie alla produzione di tali beni. L’Italia fino al 2020 avrà due grandi canali di finanziamento.

Primo. I residui della programmazione 2007 – 2013 secondo l’ultima certificazione di spesa del 31 maggio 2013; grazie alla deroga del meccanismo N+2 prevista da Bruxelles, deroga che evita il disimpegno automatico del cofinanziamento europeo, tutti i 37,596 miliardi di euro potranno essere spesi entro dicembre 2015. Ma una quota di 11,8454 miliardi dovrà essere consumata entro il 2013; vediamo con precisione come si compongono i residui:
1) 29,712 miliardi dei programmi finanziati da Fse e Fesr: occorre spenderne 10,458 miliardi entro dicembre 2013;
2) 7,884 miliardi di euro dei piani cofinanziati dal Feasr: entro il 2013 occorrerà spenderne 1,387 miliardi di euro;

Secondo. La programmazione 2014 – 2020:
1) circa 60 miliardi di euro dei programmi cofinanziati da Fse e Fesr;
2) circa 17 miliardi di euro dei piani cofinanziati dal Feasr.
In totale dunque l’Italia fino al 2020 avrà circa 114 miliardi di euro nei programmi cofinanziati dai fondi europei. Ci sarebbe poi il Fondo per lo sviluppo e la coesione, fondo italiano che ha sostituito il vecchio Fas (Fondo aree sottoutilizzate): la sua dotazione incerta oscilla nelle dichiarazioni ufficiali del governo tra i 40 e i 50 miliardi. Tale fondo è esistito spesso solo per competenza e non per cassa poiché la sua spesa è stata rinviata più volte negli anni. Oppure il Fas non è stato usato per lo sviluppo bensì come un bancomat per ripianare debiti della sanità o pagare la cassa integrazione in deroga. Meglio contare solo sui fondi europei la cui dotazione è esatta e la cui spendibilità è certa.

Analizzando i programmi regionali i pregiudizi antimeridionali spesso vengono smentiti. Al 31 maggio 2013 la Puglia ha speso il 45,9% del programma Fesr, la Basilicata il 59,2%; il sabaudo Piemonte il 44,7%, il Lazio il 43,5%. E così mentre Puglia e Basilicata superano il target di spesa concertato con il ministero dello Sviluppo, il Piemonte non lo raggiunge per 3,6 punti e il Lazio per 4,9 punti. La maglia nera spetta alla Calabria e alla Sicilia, rispettivamente con il 23% e 27,4 % di spesa.
Inoltre entro il 2015 occorre investire i rimanenti 7,52 miliardi di euro dei 12,41 miliardi dei programmi nazionali dedicati a Puglia, Sicilia, Calabria e Campania (3,26 miliardi entro il 2013).

Ma cosa finanzierebbero i programmi nazionali? Mentre i cervelli del sud fuggono all’estero, entro il 2015 sono da spendere 2,572 miliardi (dei 4,425 in dotazione) per la ricerca e competitività. E mentre nessuno si azzarda a viaggiare in treno da Bari a Reggio Calabria occorre ancora spendere 1,9963 miliardi dei 2,5766 miliardi di euro del programma per le Reti e la Mobilità; i due programmi istruzione dovrebbero finanziare l’edilizia scolastica e il rafforzamento delle competenze: entro il 2015 sono ancora da investire 910,3 dei 1996 milioni in dotazione (513,8 milioni entro il 2013). Saranno soddisfatti i genitori meridionali pensando alla condizione materiale delle scuole dei loro figli. Per la gioia degli archeologi di Pompei e degli albergatori in crisi sono ancora da spendere 524 dei 685,7 milioni del programma Attrattori Culturali e Naturali (147,7 milioni entro il 2013). Mentre l’Italia compra gas e petrolio all’estero sono ancora da spendere 665,6 milioni dei 1103,8 milioni del programma per le Energie Rinnovabili (363,6 milioni entro il 2013) .

Le ragioni per le quali la spesa dei fondi europei è lenta e inefficace per sostenere lo sviluppo nazionale sono molteplici: a) la lentezza di ministeri e regioni sia nella redazione e gestione dei bandi sia nei pagamenti; b) l’inadeguatezza dei progetti presentati e l’imprecisione nella fatturazione dei soggetti finanziati; c) la polverizzazione dei programmi in tante piccole misure inutili per lo sviluppo locale; 4) la presenza delle frodi. L’ultimo grande caso è quello dell’indagine «Mala Gestio» (17 arresti a giugno): secondo la guardia di Finanza di Palermo vi sarebbe stata l’evasione di imposte dirette e Iva per oltre 40 milioni di euro e l’illecita percezione e gestione di un contributo pubblico di 15 milioni di euro di Fse da parte del Ciapi di Palermo (Centro interaziendale addestramento professionale integrato, ente di formazione controllato dalla Regione Siciliana, di cui è socio di maggioranza) per realizzare il progetto Co.Or.Ap. (Consulenza, Orientamento ed Apprendistato).
Una soluzione politico- amministrativa per accelerare la spesa però è già nei regolamenti comunitari: le regioni e i ministeri potrebbero delegare in parte la gestione dei programmi finanziati dai fondi europei ai comuni, nominandoli organismo intermedio di gestione. Le future aree metropolitane, per esempio, potrebbero diventare centri di programmazione e accelerare la spesa di concerto con regioni e governo. La regione Lazio potrebbe trasferire una quota dei propri fondi su Roma; analogamente potrebbero farlo la Puglia su Bari e il Piemonte su Torino: i comuni sarebbero destinatari degli Investimenti Territoriali Integrati(Iti) previsti dal nuovo regolamento Ue. Per esempio, se la regione Lazio trasferisse il Fesr per la raccolta differenziata a Roma Capitale, il comune sarebbe valutato direttamente sulla efficacia della sua spesa. Ma la delega nella gestione potrebbe valere anche per un comune di medie dimensioni. Per esempio se una quota dei programmi Istruzione andasse a Nardò in provincia di Lecce il comune risponderebbe direttamente dell’edilizia scolastica ai suoi abitanti.
* esperto fondi strutturali europei, già consulente II Governo Prodi