Il tribunale del Riesame ha respinto i ricorsi presentati contro le perquisizioni e i sequestri di documenti e supporti informatici di una ventina fra imprenditori e società che avevano versato contributi, anche rilevanti, alla Fondazione Open, che dal 2102 al 2018, anno in cui fu sciolta, sosteneva le iniziative politiche di Matteo Renzi, compresa la kermesse della Leopolda.
Fra i ricorsi presentati c’era quello di Marco Carrai, storico amico di Renzi ed ex consigliere d’amministrazione della Fondazione, indagato con l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti. In sua difesa gli avvocati Filippo Cei e Massimo Dinoia avevano contestato la ricostruzione della procura. Per farlo avevano anche presentato un parere ‘pro veritate’ dell’ex presidente della Consulta ed ex ministro della giustizia, Giovanni Maria Flick, con una interpretazione contraria a quella dei pm fiorentini, secondo la quale Open non può essere considerata “articolazione di partito”, ipotesi invece alla base dell’indagine per finanziamento illecito. Nel ricorso presentato da Carrai c’erano anche i pareri dei professori Giulio Ponzanelli e Domenico Pulitanò, docente di istituzioni di diritto privato alla Cattolica di Milano il primo, e di diritto penale alla Bicocca il secondo.
Dopo la decisione del Riesame di confermare i sequestri, gli avvocati Cei e Dinoia hanno criticato l’ordinanza del tribunale anche per la riserva dei giudici di rendere note le motivazioni della decisione entro un mese e mezzo: “Il deposito delle motivazioni di conferma in 45 giorni è un tempo inusuale – hanno spiegato i legali – piuttosto sorprendente e francamente mai visto prima per situazioni simili, tanto più considerando che la tesi sottoposta a giudizio dalla difesa del signor Marco Carrai, e sostenuta dal conforto di tre illustri cattedratici, era limitata ad una questione di puro diritto, cioè se le asserite condotte ipotizzate nel decreto di sequestro costituiscano o no un reato. A nostro avviso, e a quello dei tre esperti cattedratici, di cui uno ex presidente della Corte Costituzionale, no”.
Non aveva fatto invece ricorso l’avvocato Nino D’Avirro, che difende l’ex presidente della Fondazione, Alberto Bianchi, indagato con le ipotesi di reato di traffico di influenze e di finanziamento illecito ai partiti. “Abbiamo desistito dal ricorso – aveva spiegato D’Avirro – perché a noi interessava essenzialmente vedere la documentazione che ha raccolto l’accusa”. Peraltro D’Avirro si era visto respingere dal Riesame un ricorso presentato dopo una prima perquisizione, a settembre, nello studio di Bianchi, avvocato molto stimato nell’ambiente legale.
Fra i ricorsi al Riesame c’erano anche quelli di tre ex finanziatori della Fondazione Open che non sono indagati: il finanziere David Serra, e gli imprenditori farmaceutici Alberto Giovanni Aleotti e la sorella Lucia Aleotti, proprietari della Menarini. In difesa dei fratelli Aleotti gli avvocati Alessandro Traversi e Michela Vecchi avevano chiesto l’illegittimità del sequestro rilevando la sproporzione del provvedimento e la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, come quello della riservatezza delle comunicazioni, denunciando il sequestro di materiale “totalmente estraneo” alle indagini. Ma anche a loro il tribunale del Riesame ha dato torto.