Prendete un paio di ragazzi che si amano, contrastati e ostacolati da traversie di ogni genere: guerre, crisi e cataclismi ma anche diversa appartenenza di classe, trame subdole, orgogli e pregiudizi. È la struttura eterna del romanzo rosa, e prima di storcere l’aristocratico nasino ricordate che precisamente a partire da questa popolarissima struttura hanno scritto e creato ragazze dotate come Jane Austen o Edith Wharton. Se poi i contrastati amori sono tanti, scaglionati nelle vicissitudini di cinque famiglie sparse in quattro Paesi (Usa, Russia, Germania e Inghilterra) le cui storie, nell’arco di tre generazioni, si incontrano, si sfiorano e spesso si intrecciano; se infine le peripezie in questione derivano tutte dagli sconvolgimenti susseguitisi senza posa nel secolo che inizia con un colpo di pistola a Sarajevo e termina sotto le macerie di un Muro, allora il fumettone rosa lievita sino a diventare romanzo storico. Più precisamente il primo e ambizioso tentativo di tradurre in letteratura popolare e di vasto consumo il Secolo breve di Eric Hobsbawm. Nello specifico la Century Trilogy di Ken Follett.

La formula può sembrare elementare, ma si sa che per fare bene le cose che paiono semplici bisogna essere maestri. Nel suo genere Ken Follett indiscutibilmente lo è, e la sua trilogia funziona. Ipnotizza a dovere il lettore e fornisce un quadro storico più che adeguato, a tratti approfondito e anticonvenzionale, come quando spiega le ragioni della Germania nella prima guerra mondiale e del Giappone nella seconda, oppure parzialmente rivaluta un presidente americano tanto meritorio nella politica interna quando disdicevole in quella estera, Lyndon Johnson, e ne demolisce invece uno assurdamente sopravvalutato, Ronald Reagan.
Follett ha consapevolmente deciso di sacrificare lo spessore dei suoi personaggi alla precisione della ricostruzione storica. In ciascuno dei tre romanzi i personaggi principali cambiano, perché lo scrittore sceglie il ricambio generazionale, seguendo di volta in volta le nuove leve e relegando sullo sfondo i genitori e i nonni, già protagonisti dei romanzi precedenti. Difficile pensare che un autore tanto esperto e smagato non si rendesse conto di togliere, così, molto ai suoi protagonisti, abbandonati appena varcata la soglia della giovinezza. Però altra strada per raccontare il Novecento non solo negli eventi storici ma anche nelle trasformazioni profonde, quelle culturali e delle mentalità, non c’era. Perché sono i giovani a incarnare, vivere sulla pelle, veicolare e imporre quei cambiamenti radicali: da una società vittoriana alla liberazione sessuale degli anni sessanta, da una società che alle donne negava tutto alla rivoluzione femminile, da un assetto sociale ancora centrato sul potere dell’ancien régime, sulle barriere di classe e su quelle razziali, al loro abbattimento, sia pur non ancora completato. E sono stati i giovani, anzi i giovanissimi, a combattere quando le guerre sono diventate incandescenti: nei due conflitti mondiali, in Spagna, in Vietnam.

I giorni dell’eternità (Mondadori, pp. 1218, euro 20,00), il volume che completa la trilogia e che ha sùbito spopolato anche nelle classifiche italiane, inizia con la costruzione del Muro, finisce con la sua distruzione. In mezzo c’è di tutto: la crisi di Cuba, la lotta dei neri per i diritti civili, il rock e gli hippies, il Vietnam e l’invasione della Cecoslovacchia, Watergate e le sporche guerre della Cia, Solidarnosc e la Glasnost. Probabilmente è il migliore dei tre romanzi, forse perché qui Follett, classe 1949, nato nel Galles ma trasferitosi nella capitale a dieci anni, proprio quando le tinte sfolgoranti della Swinging London sostituivano il grigiore di un lunghissimo dopoguerra, parla per esperienza diretta e si può basare su un materiale più vivace e dettagliato per tratteggiare le figure storiche reali.

Nei volumi precedenti i personaggi storici, da Churchill a Lenin e Stalin, avevano fatto fugaci apparizioni. Qui invece campeggiano, grazie a un ovvio espediente: molti dei personaggi sono collaboratori diretti dei fratelli Kennedy, di Luther King, Chruscev, Kosygin, Gorbaciov. La guerra fredda è così descritta dall’interno delle tolde di comando, e il risultato è tanto avvincente quanto il thriller meglio congegnato, forse di più. Un altro gruppo di protagonisti abita invece palcoscenici di altra natura: quelli delle diverse scene rock dell’epoca, dai club londinesi dei primi anni sessanta alla Haight-Ashbury hippe fino ai grandi concerti da stadio degli ottanta. Per quanto le due realtà si incrocino frequentemente, Follett le adopera per scopi distinti: i politici per mettere in scena gli eventi storici, le rockstar per descrivere la cultura ribelle degli anni sessanta e settanta.
C’è una seconda differenza sostanziale, oltre alla centralità dei personaggi storici, tra l’ultimo tassello della trilogia e i precedenti: l’arco cronologico è molto più ampio. La caduta dei giganti abbracciava un decennio, dal 1914 al 1924. L’inverno del mondo copriva gli anni bui dei totalitarismi, dalla presa del potere di Hitler nel 1933 all’inizio della guerra fredda nel 1947. Il terzo libro si estende lungo ben 29 anni: dal 1960 al 1989. Il risultato è una sproporzione che l’autore riesce a risolvere bene sul piano narrativo, non altrettanto su quello storico. La prima metà del trentennio in questione, dalla edificazione del Muro alle dimissioni di Nixon, occupa 1068 pagine e mantiene inalterato lo sguardo a tutto campo con cui Follett aveva affrontato le due guerre mondiali, la rivoluzione russa, i totalitarismi. L’ultimo scorcio del secolo breve è invece una ricognizione a volo d’uccello, con l’obiettivo ristretto solo sul crollo dei regimi dell’est. Resta così tagliata fuori dalla storia del Novecento l’offensiva vincente neoliberista, la sterzata storica che ha letteralmente dato forma all’assetto sociale nel quale siamo a tutt’oggi infelicemente immersi. Basti dire che non una sola volta, nel libro, è nominata la signora Margaret Thatcher, che pure sta a quella controrivoluzione come Lenin alla rivoluzione del 1917 ed è senza dubbio una delle principali protagoniste della storia del secolo scorso.

Forse non si tratta solo di una cancellazione dovuta a esigenze di spazio. Lo sguardo di Follett non è, né pretende di essere, al di sopra delle parti. Militante laburista sin da giovanissimo, lo scrittore è sposato con una dirigente del Labour tre volte eletta in parlamento, Barbara Broer, ed è da sempre uno dei più attivi sostenitori del partito. È stato ed è ancora un blairiano convinto. La parabola del Novecento, nella sua trilogia, è un percorso tragico e contrastato ma ineluttabile verso la luce e il progresso. Da un’Europa tiranneggiata dall’ancien régime e poi dalle dittature alla festa democratica del Muro abbattuto; da una condizione femminile relegata nell’angolo dell’inferiorità permanente alla conquista progressiva della parità; dalla discriminazione razziale all’elezione del primo presidente nero degli Usa, citata in un «Epilogo» appositamente aggiunto. I guasti delle società democratiche ci sono, ma derivano dall’inquinamento di componenti che di democratico hanno ben poco, come la Cia con le sue perenni trame, e non ne intaccano l’essenza. La Century Trilogy è una storia a lieto fine: le ombre del presente non potevano trovare spazio. E neppure la loro genealogia, che nei conflitti del secolo breve e nel loro esito finale affonda invece le radici.