Nella vicinanza di date, intenzionale, voluta dalla destra, dal giorno della Memoria in ricordo della Shoah, gli italiani sono stati chiamati dalle autorevoli parole del presidente Mattarella a celebrare con il giorno del Ricordo l’orrore e la tragedia delle Foibe. Vale la pena sottolineare che nei due casi gli italiani furono vittime non innocenti. Se nello sterminio degli ebrei furono complici dei nazisti, per le foibe furono coinvolti da un insieme di circostanze più complesse, che solo la memoria corta della politica e l’ipocrisia di buona parte della classe dirigente hanno espulso dalla memoria collettiva.

Stavolta c’è un motivo di rammarico in più. Il presidente Mattarella nel suo discorso di ieri sembra avere dimenticato perfino la sua stessa iniziativa istituzionale, quando solo nell’estate scorsa ha sentito il bisogno di riparare ad una visione nazional-unilaterale della tragedia, andando a Basovizza a celebrare anche i martiri del fascismo, stavolta dimenticati – insieme al presidente sloveno Pahor. Che senso ha augurarsi «il reciproco riconoscimento, il dialogo e l’amicizia…» se non vengono denunciati ogni volta anche i crimini commessi dagli italiani? Quale futuro condiviso si può costruire se la memoria sui crimini non è condivisa? E come si può affermare che «i crimini contro l’umanità scatenati in quel conflitto non si esaurirono con la liberazione dal nazifascismo, ma proseguirono nella persecuzione e nelle violenze perpetrate da un altro regime autoritario, quello comunista»?

Ecco che siamo ad un lascito di memoria che oscura gli attori della Liberazione, del resto in perfetta sintonia con la vergognosa risoluzione dell’Europarlamento che nel 2019 ha equiparato il comunismo al nazismo. Ma, signor presidente, perché non ricordare le violenze del nazifascismo stesso e la scia di sangue lasciata in quelle terre, come pure ha avuto il coraggio di fare il presidente della Camera Fico? Come dimenticare le responsabilità dello squadrismo e del regime fascista poi nella snazionalizzazione degli sloveni e dei croati che dopo il 1918 vennero a trovarsi entro i confini dello stato italiano?

Quest’anno poi, altra «piccola» sua dimenticanza, è l’80° anniversario dell’invasione nazifascista della Jugoslavia. Nel 1941 l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia e l’annessione violenta della provincia di Lubiana a Regno d’Italia contribuirono in modo decisivo alla dissoluzione dello stato Jugoslavo e alla apertura della fase storica che sfociò nella Jugoslavia di Tito. Ricorda lo storico Enzo Collotti: «In ciascuna di queste fasi le autorità politiche e militari italiane, al di là di ogni problema geopolitico, si mossero nel presupposto che le popolazioni slave rappresentassero, come ebbe a dire Mussolini, “una razza inferiore e barbara” nei cui confronti fosse possibile e lecito imporre il pugno duro e purificatore dei dominatori».

Quella occupazione, ricorda in lo storico Davide Conti, costò la vita a circa un milione e mezzo di persone travolte dalle misure draconiane della famigerata “Circolare 3C” che istruiva i soldati italiani alla repressione di civili e partigiani, firmata dal generale Roatta: perché questo crimine non «colpisce le nostre coscienze»? Le foibe si inseriscono in questo contesto.

Al di fuori di questo quadro non c’è la possibilità di comprendere le ragioni degli orrori dei quali parliamo e dei quali rischiamo di tornare a rimanere vittime. Nessuna menzogna potrebbe capovolgere questa realtà della storia o avvelenare la nostra memoria, impedendo la consapevolezza e le nefandezze di un passato che dovremmo considerare ormai alle nostre spalle. Se così non è, dobbiamo tornare a riflettere sulla superficialità con la quale i politici di turno si sono impossessati di una questione di forte impatto emotivo per alterare la storia e la memoria con la retorica patriottarda.

Il rischio, che ogni anno si perpetua, è che la questione delle foibe serva proprio a coprire il vuoto di consapevolezza sulla vera realtà della sconfitta del Paese, ma anche della capacità della popolazione di rialzare la testa e di affrontare i sacrifici che hanno consentito la ricostruzione. Mettere al centro dell’attenzione le foibe non serve a sottolineare le offese subite ma a perpetuare uno sterile vittimismo che non contribuisce a fare i conti mancati con il passato, né a consolidare il consenso a questa nostra democrazia minacciata da tante insidie. Una di queste è la negazione della verità.

L’enfatizzazione delle foibe ha ritardato la riconciliazione con le vicine popolazioni slave – che senso ha parlare di «aperture» a quel mondo se non si ricordano sempre le nostre responsabilità? – rendendo più difficile la cicatrizzazione delle ferite della guerra, oscurando i drammi veri delle popolazioni costrette a lasciare le loro case e la loro terra, le uniche che abbiano pagato, per tutti gli italiani. le malefatte di un regime criminale senza che ci siano stati gesti ufficiali da parte dello Stato democratico di rottura e di risarcimento verso un passato da condannare senza riserve.

La prassi tutta italiana di coprire con l’oblio passaggi storici che avrebbero meritato un forte impegno di autocritica e di verità, si è alleata alla rimozione di memorie scomode e alla loro banalizzazione.

Così, nel coro dei media, si ripete la litania del «silenzio» che sulle foibe ci sarebbe stato per responsabilità di una sinistra omissiva: in realtà nel 1945 vennero istituiti processi ed emesse condanne, ma ad evitare la riapertura di quella pagina furono i governi De Gasperi nella convinzione che sollevare la questione avrebbe comportato per l’Italia l’obbligo morale di rispondere sia per i crimini commessi in Jugoslavia (e nei Balcani) ma anche in Libia, Etiopia e Unione sovietica, sia per i risarcimenti economici previsti dal Trattato di Pace di Parigi del 1947. Così nessun criminale di guerra italiano è mai stato giudicato da nessuna Norimberga.

L’orrore delle foibe deve servire a richiamarci alle nostre responsabilità storiche. E certo non deve essere volta a volta strumentalizzato ai fini di corroborare, come in questi giorni, il clima politico unanimista in corso per il nuovo governo.