La storia è la stessa di sempre che torna ciclicamente. Sfruttamento dei braccianti agricoli stranieri, intermediari e caporali senza scrupoli, aziende in cerca di manodopera a bassissimo costo, condizioni di vita al di sotto di qualsiasi soglia minima di accettabilità umana. E purtroppo, ancora una volta, uno dei luoghi protagonisti della schiavitù del terzo millennio è la provincia di Foggia, terra della raccolta del pomodoro, il così detto oro rosso.

E’ QUESTO LO SCENARIO delineato dall’ultima operazione anti-caporalato coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia. Cinque le persone arrestate, due in carcere e tre ai domiciliari, dieci le aziende coinvolte. Undici indagati per i quali è scattato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Tra cui la moglie del prefetto di Mattinata Michele Di Bari, dal 2019 capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione al ministero dell’Interno, che ha rassegnato immediatamente le dimissioni accettate dal ministro Lamorgese. Rosalba Livrerio Bisceglia, indagata in quanto socia di una delle aziende agricole coinvolte nell’inchiesta, ha però negato ogni addebito, dichiarandosi pronta a dimostrare la correttezza del suo operato.

L’indagine trae origine alla fine di luglio 2020 e si protrae sino ad ottobre dello stesso anno, quando a seguito di alcuni servizi di osservazione – proseguiti anche dopo l’operazione denominata ‘Principi e Caporali’ conclusasi ad aprile di quest’anno, che portò all’esecuzione di una misura cautelare nei confronti di 10 persone e al controllo giudiziario di alcune aziende agricole – i militari dell’Arma, unitamente al personale del progetto Su.Pre.Me., hanno effettuato un accesso ispettivo presso dei terreni agricoli siti nel Comune di Manfredonia e riconducibili ad un’azienda con sede in Trinitapoli, constatando la presenza di diversi lavoratori stranieri intenti a lavorare.

ANCORA UNA VOLTA il luogo da cui parte tutto è il ghetto di Borgo Mezzannone, aperto nel 2005, nato nel 1999 come roulottopoli all’epoca dell’emergenza dei profughi provenienti dal Kosovo. Luogo nel quale insistono decine di baracche costruite con mezzi di fortuna, legno, plastica, lamiere, sorte accanto alla pista che un tempo costituiva una base dell’aeronautica militare, ormai dismessa. Che da anni è il ‘centro’ in cui i caporali, molti dei quali oramai anch’essi stranieri, reclutano i braccianti per la raccolta dei pomodori, bypassando del tutto i centri dell’impiego e qualsiasi forma di contrattazione regolare. Il ghetto è quindi a tutti gli effetti diventato l’anello di congiunzione tra le aziende agricole e i braccianti.

Che anche quest’indagine ha appurato lavorassero «privi dei previsti dispositivi di sicurezza e sotto controllo serrato, non risultavano sottoposti alle prescritte visite mediche e venivano trasportati sui campi con mezzi inidonei, in pessime condizioni d’uso, pericolosi per la circolazione stradale e per la incolumità degli stessi». Per una ‘paga’ giornaliera pari a 35 euro per 6 ore, somma palesemente difforme dalle tabelle del contratto collettivo nazionale che prevede una somma netta di euro 50.05 per 6.30 di lavoro. Ed in più, come evidenziato nell’ordinanza del gip di Foggia, costretti a versare cinque euro al caporale per l’attività di intermediazione svolta a vantaggio di dieci aziende agricole sottoposte a controllo giudiziario. A tutti gli indagati viene contestato – a vario titolo – l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, di cui all’art. 603 bis del codice penale.

A CINQUE ANNI dalla legge 199 del 2016 dunque, il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento del lavoro nelle campagne è lungi dall’essere sconfitto. Questo perché ancora oggi viene applicata solo la parte punitiva e sanzionatoria prevista dalla legge, mentre i mezzi di contrasto preventivo in essa contenuti restano ancora lettera morta, che consentirebbe un accesso trasparente e regolare al lavoro, attraverso anche e soprattutto le sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità.

Oltre a mancare azioni efficaci su alloggi e trasporto, i nodi, cioè, su cui si sviluppa il caporalato e lo sfruttamento. La Regione Puglia ha avviato dal 2019 un capillare abbattimento delle baracche del ghetto di Borgo Mezzanone, mentre attraverso il Piano triennale per le politiche migratorie approvato nel 2018, sono sorte in tutta la Puglia diverse foresterie dove trovano alloggio all’incirca mille persone. Proprio lo scorso maggio, un protocollo d’intesa tra Regione e Prefettura aveva stabilito la riconversione in foresteria del ghetto. Ma le baracche sono ancore tutte lì.