Questione di traiettorie. Il viaggio (non compiuto) di migliaia di lettere di italiani bloccati in Albania dopo la seconda guerra mondiale. Il viaggio (compiuto) di migliaia di albanesi verso l’Italia negli anni Novanta. Si è parlato e visto dell’andare e tornare, dell’incontrarsi, del produrre cinema e musica nel «Focus Albania» ospitato dalla Festa di Cinema del reale di Specchia in Salento. Tredicesima edizione, quest’anno, dal 20 al 23 luglio, sempre diretta dal regista Paolo Pisanelli e costruita, come da tradizione, su tre parole a ispirare l’orizzonte tematico e immaginativo. Questa volta: «Voci/Incanti/Tradimenti».
Di Roland Sejko e Adrian Paci, nel Castello Risolo del borgo, si è visto per la prima volta in «versione cinematografica», S.P.M. Sue proprie mani, un film-installazione del 2015 già ospitato su cinque schermi dal Maxxi di Roma, prodotto dal «Progetto Memoria» di Apulia Film Commission. «Quelle lettere erano state censurate, mai consegnate – racconta Sejko –, non possiamo sapere quale sia stato destino di tutta quella gente, mentre le loro lettere sono rimaste sempre lì. Le loro e quelle dei propri cari che scrivevano dall’Italia per avere notizie. Noi le abbiamo tirate fuori, siamo stati i secondi a leggerle dopo i catalogatori dell’Archivio di Stato dell’Albania». Il regista stesso lavora da anni negli archivi dell’Istituto Luce e, dallo straordinario patrimonio qui conservato, è sortito, ad esempio, il suo L’entrata in guerra, in visione Specchia, una parte di un film a episodi, 9×10 Novanta, presentato a Venezia due anni fa. «Nel caso di S.P.M. si è trattato, però, di un archivio cartaceo. Durante una ricerca per un documentario ho trovato queste lettere, un numero impressionante, scritte dai 20mila italiani, militari e civili, soprattutto civili, che furono bloccati in Albania dall’arrivo del comunismo. Era iniziata, infatti, una sorta di guerra diplomatica con l’Italia, che aveva occupato l’Albania negli anni precedenti. Ora siamo tra il ’45 e il ’47 e si stanno stabilendo nuovi equilibri e disequilibri del mondo». Lettere mai pervenute nelle mani dei destinatari, il cui contenuto risuona in maniera fluviale ed emozionale, nelle voci da un altrove che penetrano e tagliano spazio e tempo (una appartiene a Mariangela Gualtieri) per tutto il film. Lettere private, destini sconosciuti che si posano sui volti, sulle mani di attori, che sono in realtà pose, presenze, fantasmi in progressione, ripresi negli interni abbandonati della residenza dell’ex Re Zog di Albania, a Durazzo, di notte. «Un luogo che ha un vissuto, una memoria a sé, una sua profondità e che non è stato scelto per il suo significato politico ma per l’atmosfera decadente, sospesa, con influenze, peraltro, di architettura italiana», aggiunge Paci.
Prima del loro film, il festival ha mostrato un nuovo lavoro in progress firmato da Pisanelli e dal compositore Admir Shkurtaj, Faces – Albania on the road (della stessa coppia presentate anche le prime immagini del nuovo progetto Fabbrica), messa in musica di un reportage in bianco e nero realizzato dal documentarista sui volti dei migranti albanesi arrivati in Italia 25 anni fa, a Otranto e Brindisi, volti «che sono paesaggi» commenta Pisanelli.
«L’arrivo è un giorno – ricorda Sejko, giunto con quelle navi proprio a Brindisi – poi si vive tutta una vita. In questa permanenza, nel mio caso, il rapporto con l’Albania è stato continuo. I miei lavori sono fortemente influenzati dalla conoscenza dei luoghi, sia qui in Italia che lì». Film come Albania, Il paese di fronte e Anija – La nave, premiato con un Nastro d’argento. Per Adrian Paci, artista di fama internazionale che espone in tutto il mondo il suo sguardo sulla migrazione e sull’appartenenza, «tante cose sono cambiate da quando siamo venuti in Italia. Il mio è un rapporto molto dinamico sia da un punto di vista politico che culturale. Essere vissuti in questa zona di mezzo, tra Italia e Albania, è stata un’esperienza importante di vita, ha segnato il nostro lavoro, non saprei immaginare cosa avrei fatto altrove». E Sejko, infine, ci indica le tracce di uno stato delle cose del cinema albanese contemporaneo: «È difficile dire che cinema si faccia oggi. Si cerca di fare un cinema diverso da quello da cui il Paese esce, anche se sono passati ormai 25 anni da quando il regime comunista è caduto. Di certo permane ancora un certo schematismo nel documentario e penso all’approccio ai personaggi, al rapporto con la propria storia, si fa fatica a distaccarsi dai cliché del passato e questo avviene anche in molti campi che non riguardano l’arte, nella politica, nel nazionalismo, nel populismo. Il cinema di finzione più decisamente cerca di fare i conti con temi come l’emigrazione, la prostituzione, il passato. Ci sono giovani artisti che hanno presentato i loro lavori anche in festival internazionali come Cannes, ma resta un cinema di nicchia, sconosciuto ai più perché senza distribuzione, anche in Italia. Un regista come Edmond Budina che vive tra Italia e Albania, ad esempio, è riuscito invece a crearsi un’identità e riconoscibilità più di altri». Ed anche in Albania si soffre la chiusura di sale cinematografiche, ormai pochissime, «è un declino globalizzato ma che da noi diventa enorme, vistoso, perché enorme e vistoso era il numero delle sale sotto il regime, il cinema era uno dei pochi momenti di svago consentiti». Anche per questo, a Specchia, è stato presentato «Adriatikinema/Cinema Adriatico», un progetto del Centro Nazionale di Cinematografia di Tirana e dell’Istituto delle Culture Mediterranee di Lecce, che intende portare a bordo di un camper con proiettore, cinema d’essai lungo le coste balneari albanesi e pugliesi, d’estate.