«I fiori rappresentano la pace, distribuiteli tra voi» urlano nel megafono gli attivisti del Partito Progressista Democratico nel film The Taoyuan Airport incident, girato nel 1986 dal Green Team Movement. Ed è allora anche con questo richiamo alla concordia che possiamo pensare al titolo del festival Flowers of Taiwan, rassegna di cinema taiwanese in programmazione ancora per oggi al Maxxi di Roma, nonostante sia di pochi giorni fa la notizia di una rinnovata pressione militare cinese nello spazio aereo dell’isola. Organizzata dall’Asiatica Film Festival, i titoli di questa terza edizione sono stati raggruppati intorno a due nuclei temporali: uno relativo ai giorni nostri, un altro incentrato sulla seconda metà degli anni ’80. Quest’ultimo fu un periodo particolare per l’isola considerato che la legge marziale venne abrogata, almeno ufficialmente, nel 1987. Le limitazioni alla libertà di riunione e di espressione erano pressoché totali, con l’interezza dei media e della stampa sotto il controllo del Kmt, il partito nazionalista insediatosi a Taiwan dopo aver perso la guerra civile in Cina nel ’49.

IN QUESTA SITUAZIONE oppressiva il video giocò un ruolo importante proprio grazie al gruppo Green Team Movement. Con le prime telecamere elettroniche, i membri riprendevano quei momenti cruciali che testimoniavano di un irresistibile cambiamento in atto nella società, nonostante la continua opera di negazione e mistificazione del partito di governo. Tra le proiezioni clandestine, la diffusione delle cassette tra i gruppi di opposizione e perfino la trasmissione con un proprio canale tv, il Green Team divenne una voce importante per la contro-informazione. Al Flowers of Taiwan sono stati mostrati diversi documentari del gruppo, il primo cronologicamente è il summenzionato The Taoyuan Airport incident, incentrato su una grande manifestazione che ebbe luogo all’aeroporto di Taipei per permettere il ritorno in patria di Hsu Hsin-liang, leader del Partito Progressista Democratico da poco formatosi.

Al contrario di quanto narrò la tv di Stato a proposito di una folla fuori controllo, quello nei pressi dello scalo fu un raggruppamento pacifico ma determinato a resistere perché, forse senza neppure rendersene conto pienamente, i taiwanesi stavano mettendo in gioco se stessi per farla finita con «un’oppressione che dura ormai da 400 anni». Dell’anno successivo è From the lifting of martial law to the National Security Act che documenta di quanto fu complessa la reale abrogazione della legge marziale, con il Kmt pronto a compensarla con una nuova Legge di sicurezza nazionale fortemente osteggiata dalla società civile. Infine, To die for Taiwan dell’89 rappresenta un capitolo inquietante: la camera segue il corteo funebre dell’attivista per la democrazia e la libertà di parola Cheng Nan-jung, immolatosi dandosi fuoco. Durante la processione il corteo venne bloccato dalla polizia finché un altro attivista, Chan I-hua, non seguì l’esempio del suo compagno. Una macabra dimostrazione di quanto fossero ancora soffocanti le condizioni di vita e minimi gli spazi di opposizione.

RISALENTI agli stessi anni di attività del Green Team sono anche le opere di tre registi fondamentali della filmografia taiwanese mostrate al festival: Dust in the wind di Hou Hsiao-hsien, Terrorizers di Edward Yang e il lungometraggio televisivo All corners of the world di Tsai Ming-liang. Di quest’ultimo oggi saranno invece visibili nella videogallery il film Days in competizione lo scorso anno a Berlino e il corto The Night presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia. A completare la giornata l’incontro «Made in Taiwan» a cura di Italo Spinelli e Silvia Di Domenico, racconto politico e sociale dell’isola attraverso il cinema, oltre alle proiezioni di A lean soul di Chu Hsien-che e A silent forest di Ko Chen-nien.