La cinematografia della Corea del sud continua a essere uno dei lati di un ideale triangolo cinefilo asiatico che comprende Giappone e Hong Kong. Dagli anni Novanta in poi, il cinema della Corea del sud ha iniziato a farsi notare anche al di fuori dei propri confini. Grazie alla retrospettiva curata da Adriano Aprà nel 1992 a Pesaro per la 28esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo cinema, la produzione cinematografica della Corea del sud cessa di essere un oggetto esotico e/o misterioso entrando a far parte integrante del dibattito culturale ed estetico degli anni 90. La selezione di titoli pesarese, che comprendeva ben nove titoli del maestro Im Kwon-taek e offriva una panoramica delle opere più interessanti prodotte dalla nouvelle vague anni 80, nella quale, stando al curatore Aprà si respirava aria di ’68, evidenziava una straordinaria vitalità e un desiderio prepotente di confrontarsi con la storia del proprio paese. Tutte caratteristiche, queste, che nel corso del tempo il cinema sudcoreano ha conservato inalterate.

Dalla metà degli anni Novanta in poi, grazie al successo di film come The Gingko Bed (1996) di Kang Je-gyu, scoperto al MIF di Cannes, la Corea del sud inizia a prospettarsi anche come una possibile alternativa per gli amanti del cinema di Hong Kong che in vista del handover del 1997 temevano l’ingerenza censoria della Cina nella produzione e una conseguente emigrazione di massa verso il Canada e gli Stati uniti. Rispetto al cinema di Hong Kong, la cui produzione di genere, in forme simili a quella italiana, spaziava dalla serie Z ai vertici delle opere di John Woo e Tsui Hark, il cinema sudcoreano si attesta a un livello medio molto alto. Come eliminando tutta la produzione intermedia di serie B. Quando nel 1999 vede la luce Swiri, thriller al fulmicotone di Kang Je-gyu che mette in scena una guerra sotterranea senza quartiere con agenti del controspionaggio della Corea del nord, è ormai evidente che il cinema sudcoreano non solo ha appreso a menadito la lezione del cinema di Hong Kong ma che è in grado di calarla in un contesto politico originale senza rinunciare a una robusta spettacolarità in grado di garantire un alto potenziale d’esportabilità. Oggi il cinema sudcoreano non solo vanta i suoi autori di prima fila come Hong Sang-soo, Lee Chang-dong, Kim Ki-duk, Park Chan-wook, Bong Joo-ho, Na Hong-jin e Kim Je-woon (passato a Hollywood per firmare L’ultima sfida, actioneer che ha segnato il ritorno di Schwarzy al cinema), ma ha dimostrato di sapere tenere il passo, nonostante alcune inevitabili flessioni, con le esigenze del mercato internazionale, potendo contare su una forte presenza su quello interno che premia sempre il cinema nazionale.

Giunto alla dodicesima edizione, il Florence Korea Film Fest (21-30 marzo) ideato e diretto da Riccardo Gelli si è presentato con ben cinquanta titoli e cinque sezioni. Articolati in dieci giorni, il festival, considerato ormai dagli operatori culturali e dai semplici appassionati un evento immancabile, ha ancora una volta puntato la propria attenzione su una produzione ricchissima in grado di conservare una costante qualitativa e produttiva invidiabile nonostante le sempre crescenti difficoltà del mercato. Inaugurato dal campione d’incassi Hide and Seek, un thriller paranoico a base di home invasion e misofobia diretto dall’esordiente Huh Jung, la dodicesima edizione del festival si è rivelata particolarmente ricca. Tra gli eventi della kermesse fiorentina, spicca l’omaggio a Choi Min-sik, senz’altro uno degli interpreti più amati del cinema sudcoreano insieme a Song Kang-ho. Noto al pubblico occidentale soprattutto per avere interpretato il tormentato protagonista di Old Boy diretto da Park Chan-wook, l’attore, proveniente da una solida formazione teatrale, e fattosi notare nella serie televisiva Seoul ui dal e nel gangster-movie No. 3 diretto da Song Neung-han, diventa un nome di primissimo grazie a Swiri nel quale interpreta un agente del governo nordcoreano. Nella sua corposa filmografia spiccano titoli come Failan, diretto da Song Hae-sung, autore tra l’altro del film di chiusura The Boomerang Family, Ebbro di donne e pittura di Im Kwon-taek, Lady Vendetta di Park Chan-wook e Crying Fist – Pugni di rabbia di Ryoo Seung-wan. Interprete sottile ed eclettico, in grado sia di tracciare un personaggio attraverso pennellate possenti che lavorando di sottrazione, Choi Min-sik rappresenta una delle punte di eccellenza assoluta del cinema sudcoreano.

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Per quanto riguarda invece le sezioni competitive Orizzonti e Independent, queste hanno offerto la possibilità di confrontarsi con titoli che rappresentano, fatte ovviamente i dovuti distinguo, con lo stato delle cose della produzione corrente. Sette le pellicole presenti nella panoramica di Independent, caratterizzate tutte da un’attenzione non banale alle innumerevoli sfaccettature della vita quotidiana. Fra la dimensione di un dolore quasi insormontabile così com’è messo in scena in Dear Dolphin di Kang Jin-a e la felicità per una gravidanza difficilissima finalmente conquistata di Godsend firmato da Moon Si-Hyun, si tende lo spettro di una dimensione esistenziale problematica che difficilmente riflette la rappresentazione ufficiale di un capitalismo competitivo ma in grado di garantire sicurezza economica a tutte le fasce sociali. Intruders, di Noh Young Seok, si concentra invece sulla crisi di uno sceneggiatore, che si ritrova a vivere il cinema e la vita che non riesce a scrivere. Soggetto interessante anche per il film di animazione Fake, diretto da Yeon Sang-ho, incentrato su un predicatore molto particolare, parzialmente inficiato però da un tratto eccessivamente rigido e bidimensionale, se confrontato con le punte più avanzate dell’animazione nipponica o statunitense.

Decisamente variegato il panorama di Orizzonti nel quale facevano bella mostra di sé anche Moebius di Kim Ki-duk, visto lo scorso anno a Venezia e Our Sunhi di Hong Sang-soo, premiato invece a Locarno. The Gifted Hands, invece, per la regia di Gwon Ho-Yeong, è un bizzarro thriller che vede protagonista un poliziotto che vorrebbe essere una specie di Jordan Belfort in minore e un graffitista con qualche segreto di troppo. Attraverso una girandola di colpi di scena, il film mette in scena una bizzarra caccia a un serial killer che pur rispettando tutti gli imperativi del genere riesce a farsi seguire con grande interesse. Un film curioso si è rivelato essere anche An Ethics Lesson di Park Myung-rang. Plot complesso dalle atmosfere livide e morbose, intreccia voyeurismo e feticismi assortiti, senza risparmiare sul sangue. L’inevitabile spada di Damocle della Corea del nord ritorna in Secretly Greatly di Jang Cheol-soo mentre How to Use Guys with Secret Tips di Lee Won-suk si rivela essere una ingegnosa commedia sull’eterna conflittualità fra i sessi.

Chiusura di rilievo con The Boomerang Family, storia di tre fratelli diretta da Song hae-sung e dei loro rapporti conflittuali, che per le atmosfere da commedia drammatica e per il piacere di un certo sentimentalismo aspro rievoca, per qualche misterioso cortocircuito cinefilo, certe atmosfere da commedia italiana della metà degli anni 70. L’appuntamento adesso è, inevitabilmente, all’anno prossimo.