La Sicilia non ha abboccato alle promesse di Renzi. Non sono serviti i cinque blitz in sette mesi fatti dal premier nell’isola per convincere i siciliani a recarsi in massa alle urne per sostenere il referendum costituzionale.

L’affluenza è stata tra le più basse d’Italia, anche se al di sopra delle aspettative come del resto altrove: alle urne si è recato circa il 57% degli elettori aventi diritto, ben 20 punti in meno rispetto al Veneto. Peggio ha fatto solo la Calabria. Non solo. I primi dati definitivi mostrano come la Sicilia abbia voltato le spalle al premier per il quale si profila una catastrofe.

La vittoria del «No» sarebbe netta, in alcune province supera vette del 70%. Una sonora batosta, senza attenuanti. Se il dato fosse confermato a chiusura dello spoglio per il Pd sarebbe una disfatta totale. Col voto i siciliani dimostrano di non essersi fatti attrarre dalle sirene di un premier che ha girato la Sicilia in lungo e in largo a caccia di consensi e che ha scelto proprio Palermo come la sua tappa finale nell’ultimo giorno utile di campagna elettorale. Quel suo appello dal teatro Massimo, «datemi una mano, andate a suonare i campanelli», non solo è caduto nel vuoto ma avrebbe sortito l’effetto opposto, quello di spingere gli scettici a recarsi alle urne per votare no.

Le aveva provate tutte il premier per cercare di accaparrarsi il voto dei siciliani. Più volte ha assicurato dura lotta alla mafia per catturare il superlatitante Matteo Messina Denaro, ha garantito fiumi di finanziamenti milionari firmando patti con le città metropolitane, ha inaugurato ponti che per sua sfortuna poi sono crollati, ha scippato il G7 del prossimo anno a Firenze consegnandolo a Taormina, s’è giocato il jolly riesumando il polveroso progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto, s’è portata alla Casa Bianca, da Obama, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini per dimostrare che l’Italia fa sul serio nell’accoglienza ai migranti.

Ma non è servito a nulla. Quasi due milioni di siciliani hanno detto «No» alla riforma della costituzione ma soprattutto hanno chiaramente lanciato un chiaro segnale politico. Il grande sconfitto in Sicilia è Davide Faraone, renziano di ferro. Il sottosegretario all’istruzione è stato l’artefice della lunga campagna referendaria di Renzi nell’isola. Con lui esce sconfitta quasi l’intera classe dirigente del Pd, compresa gran parte della minoranza che ha sostenuto il premier nella battaglia referendaria.

Pierluigi Bersani che da solo alla facoltà di Giurisprudenza spiegava le ragioni del No è stata l’immagine simbolo di un partito che per opportunismo s’è ricompattato perdendo la sua sfida. Anche nell’isola il fronte del No è variegato, i fari sono puntati soprattutto sul M5s che seppur malconcio, per l’inchiesta sulle firme false a Palermo, è quello che si è impegnato maggiormente contro la riforma Renzi.