La strada verso la Brexit adesso si chiama flextension: i 27 hanno concesso ieri alla Gran Bretagna di rimandare per la terza volta la data del divorzio, altri tre mesi – fino al 31 gennaio 2020 – ma lasciano aperta la possibilità di un’uscita anticipata, se a Londra il Parlamento vota la legge di applicazione dell’accordo raggiunto tra Boris Johnson e la Ue prima della scadenza.

«La decisione deve essere formalizzata con procedura scritta» ha precisato il presiedente del Consiglio Ue, Donald Tusk, cioè non ci sarà un Consiglio europeo straordinario per discutere una volta di più della Brexit: entro giovedì, da Bruxelles arriverà un testo, che fissa qualche paletto, a cominciare dal fatto che la Ue esclude un nuovo round di negoziati – cioè il testo da approvare è quello dell’accordo ora sul tavolo. Inoltre, la Gran Bretagna dovrà presentare un candidato per la carica di Commissario nella nuova Commissione, che ha un inizio molto difficile, visto che avrebbe dovuto entrare in azione venerdì 1° novembre, ma poiché mancano ancora tre commissari (Francia, Ungheria e Romania), ormai se tutto va bene si va al 1° dicembre (o più tardi, se ci saranno, come sembra, nuovi ostacoli, in particolare ci sono reticenze sul nuovo nome proposto da Parigi, il manager e ex ministro Thierry Breton, che presta il fianco a sospetti di conflitto di interessi).

La stanchezza è ormai palpabile tra i 27, che vorrebbero voltare pagina, dopo tre anni di negoziato, che ha assorbito molte energie nella Ue.

Ieri mattina, i 27 ambasciatori si sono messi d’accordo sulla flextension in un quarto d’ora, grazie al fatto che il terreno era stato spianato nel fine settimana. Venerdì scorso, in una precedente riunione dei 27 ambasciatori, erano venute alla luce delle tensioni. Una telefonata tra Boris Johnson e Emmanuel Macron, il più reticente a concedere un’altra proroga, ha permesso si sbloccare la situazione, anche grazie al fatto che a Londra si sono moltiplicati gli appelli per elezioni anticipate, una “novità” che può far sperare che quest’ultima estensione serva a trovare una via d’uscita dall’impasse. La Brexit avrebbe dovuto aver luogo il 29 marzo scorso, poi il 12 aprile, infine il 31 ottobre, ma lo spettro di un’uscita senza accordo ha spinto ad allungare i tempi. L’Eliseo fa sapere di aver accettato la nuova data anche per non spezzare l’unità dei 27 nel negoziato, che ha tenuto per tre anni (ed è un grande successo).

L’allungamento a tre riprese dei tempi del divorzio prefigura negoziati molto difficili per le relazioni future tra la Gran Bretagna e la Ue, tanto più che, rispetto all’accordo raggiunto con Theresa May, il testo firmato con Boris Johnson non impegna Londra a rispettare norme minime europee sulla protezione dei lavoratori, dell’ambiente e sul fisco, una minaccia di dumping dalla Gran Bretagna trasformata in Singapore on Thames.