In Fleabag l’omonima protagonista, una trentenne londinese mediamente nevrotica infrange ripetutamente il comandamento della «quarta parete», rivolgendo uno sguardo fisso e diretto allo spettatore, spesso in mezzo ad una discussione o dopo un affermazione particolarmente scabrosa o assurda di un interlocutore – un’occhiata di confidenza, intima al limite del disagio. La padrona di quello sguardo è Phoebe Waller-Bridge che a 33 anni sta scardinando non solo le regole dell’asse di ripresa ma le convenzioni della fiction tv. Attrice, sceneggiatrice, ideatrice – femminista della quarta ondata che più di ogni altro autore sta articolando creativamente l’introiezione di un empowerment femminile nella cultura. Interprete e creatrice di Fleabag, creatrice di Killing Eve – altra hit gigantesca con protagoniste/antagoniste due donne originali, vulnerabili, idiosincratiche ed invincibili – Waller Bridge è, assieme a personaggi come Jill Soloway e Lena Waithe, portabandiera dell’attuale generazione di iconoclaste della fiction. Ribalta lo sguardo maschile egemone in arte e cinema e lo fa nel modo azzeccato ed irresistibilmente spassoso che ha fatto delle sue serie dei «meme» culturali.
Fleabag, nata come lavoro teatrale per il festival di Edimburgo è, volendo, discendente del Diario di Bridget Jones e forse parente ancor più distante di Sex in The City – ma anche lontano anni luce da quelle iterazioni farsesche e pre #MeToo per come affronta, semi autobiograficamente, una certa angst esistenziale e generazionale sotto veste di comedy intelligente e post moderna.

La parabola di Fleabag sembrava conclusa alla fine della prima stagione e invece?

Avevo sempre pensato che la sua storia sarebbe terminata con la prima serie che era basata sulla commedia teatrale. Poi la Bbc mi ha chiesto di ripensarci ed ho realizzato che anche dopo le esperienze più orribili c’è sempre un nuovo giorno. Ho deciso di spingere il personaggio per vedere come avrebbe affrontato la sfida di tirare avanti. Poi ho avuto un’idea su come usare la cinepresa in modo nuovo, perché volevo soprattutto che questa storia fosse originale e distinta dalla prima. In un altro momento ho iniziato a pensare alla religione, e le tre cose si sono fuse in una storia che alla fine ha sorpreso anche me, che in definitiva ha a che vedere con fede, famiglia e amore.

Si parla molto di come Fleabag tratta la questione del desiderio femminile

Quando ho scritto la piéce teatrale mi sembrava che parlare onestamente dell’esperienza sessuale di questa donna avesse un che di pericoloso. E quando ho questa sensazione nella scrittura, del fremito che deriva dall’onestà e dalla verità, quello è il momento che mi appassiono davvero ad una cosa. Credo che Fleabag usi il suo candore sessuale come una sorta di armatura, una cosa che ricordo bene dai miei vent’anni. È qualcosa con cui riesco a rapportarmi ma che non avevo mai vista trattata con umorismo prima di allora. Volevo cercare di mettere sullo schermo questa maschera e le complessità che vi si celano.

..E che vale la pena approfondire?

Certo, perché la verità è degna di venire esplorata e la verità di quell’esperienza è diversa per tutte. Quello che è strano semmai è come sia stata rimossa nella cultura l’esperienza delle donne che hanno una vita sessuale. È dovuto credo ad una questione di timore e di controllo e al fatto che l’industria sia stata così a lungo controllata esclusivamente da maschi. Per gli uomini è difficile scrivere delle complessità della mente sessuale femminile.

Un personaggio così evidentemente vicino a lei ha richiesto molta introspezione?

Il personaggio è nato da ciò che provavo quando ero ventenne e quella certa rabbia che sentivo allora. Non riuscivo bene ad articolarla ma aveva a che vedere col tipo di persona, di donna, che proiettavo pubblicamente ed allo stesso tempo coi sentimenti che provavo sotto, compreso un certo modo di essere femminista, di parlare di femminismo ma che si accompagnava ad una sorta di intima confusione. La sicurezza sessuale ad esempio, ma anche l’insicurezza derivata dalla pressione a conformarsi alle immagini mediatiche. Il modo migliore in cui posso descriverlo è che nel momento in cui nella mia vita mi sentivo sull’orlo del precipizio, nel momento in cui rischiava di prevalere il cinismo, in quel baratro per me è nata Fleabag. Ed ho pensato semplicemente di amplificare i miei timori e di metterli in questo personaggio, così facendo il personaggio mi ha molto aiutata ad articolare quei sentimenti.

I suoi personaggi sono stati decritti come emotivamente squilibrati

Non so cosa significhi esattamente squilibrati (ride, ndr). So che molti dei miei personaggi possono sembrarlo lievemente ma in realtà credo abbiano tutti una loro logica interna per loro coerente. Come Villanelle (una delle due figure chiave di Killing Eve, ndr) che affascina così tante persone, forse perché tutti in fondo abbiamo dentro un pizzico di Villanelle. Si tratta di farla uscire ogni tanto a giocare. Io lo faccio.

Quali reazioni ha percepito da parte del pubblico che ha seguito la serie?

Soprattutto da parte di giovani donne mi è stato spesso detto «stai parlando di cose che discutiamo solo con le nostre amiche». Ad esempio credo che il rapporto fra sorelle sia una cosa che molte abbiano riconosciuto come una storia d’amore. Me l’hanno detto in particolare donne che hanno sorelle e sanno che si tratta di un rapporto singolare, allo stesso tempo il migliore e il peggiore della tua vita.
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