Nello spazio angusto del “Beat ’72”, faccio di corsa le poche scale che mi conducono al backstage. Ho da poco assistito ad uno spettacolo miracoloso, il “Proust” di Vasilicò e vorrei complimentarmi con la giovane protagonista che risulterà essere un adolescente en travesti. E’ scendendo le scale che mi imbatto in un giovane Flavio Bucci reduce dal successo de “La proprietà non è più un furto” di Petri di due,tre anni prima e che gli ha regalato una notorietà enorme. Quasi lo strattono pronto alle scuse ma poi mi profondo in un panegirico forse un po’ sopra le righe ma sincero nel dubbio fugace se sia meglio intrattenersi con un attore affermato o correre ad omaggiare una pulzella agli inizi (“Nessuno è perfetto” direbbe Wilder…).

Lo ritrovo oggi affamato di vita, curioso, con uno sguardo mobile simile a quello di un sauro che scruta, soppesa,guizzante. Ha alle spalle una storia di alcolismo -i problemi di tabagismo perdurano- e di contiguità con la bianca che, dopo un periodo di disintossicazione,lo ha relegato in una casa con giardino e incannucciata sul litorale laziale dove, ça va san dire, la lotta continua (“Come so’ capitato qui? E che ne so,dopo esse’ stato in clinica m’hanno parcheggiato qui, quarcuno me ce deve ave’ portato” dice con sarcasmo usando il vernacolo spesso imbrattato da cadenze che tradiscono le origini piemontesi). Poi, quando si è reso conto che pusher e cravattari facevano parte del presepe, ha cominciato a non celebrare più il Natale. Usando in modo monodico un intercalare come fosse un amuleto (“Te lo giuro sui miei tre figli”) si parla di progetti,di una vita che a volte dà l’idea di essere in prestito in una sorta di sdoppiamento da io-diviso.

Tu sei ateo, ergo mi vien fatto di chiederti che senso ha la vita per te.

Sei tu a dire che sono ateo(pronuncia il termine con un birignao, guardandomi in tralìce) epperò sì,detta così ‘sta cosa un senso ce l’ha. Hai presente un contenitore? Sei tu,siamo noi che lo riempiamo di cose, di valori,di epifanie e di aspettative. Eppure,devo dirti,ogni volta che andavo in scena -stiamo parlando di teatro,ovviamente,solo di teatro-, prima di entrare in palcoscenico mi facevo il segno della croce. Ma mi accorgo che era una specie di scongiuro, un portafortuna come un altro potrebbe toccare un cornetto o portare con sé un amuleto.

Non ti sembri una domanda banale ma come vivi questa stagione politica?

E’ il deserto, e non da adesso. Momenti spregevoli,da dimenticare, c’è molta confusione. Tu lo sai bene che sono stato iscritto al PCI di Berlinguer. Ecco, dopo di lui il diluvio vorrei dire. La sua morte improvvisa poteva aprire nuovi scenari e invece è stata la chiusa di un capitolo. Il M5S è abbastanza sconvolgente. Penso che il pianeta sia ‘pronto’ per la Terza Guerra Mondiale. Una guerra che non debba essere combattuta necessariamente con le atomiche.

Leopardi è un poeta inarrivabile, soprattutto per la sua modernità. Ma allora,mi domando,perché cadiamo tutti nella trappola dell’illusione? “O natura,o natura, perché non rendi poi…?

Non volendo nella tua domanda c’è, implicita, la risposta. Tutti abbiamo bisogno dell’illusione, illudersi fa parte del gioco, anche nella costruzione di una vita.

Dovremmo abbandonare anche il rimpianto allora. Dice Pavese:”Ogni uomo ha un destino”.

Non tutti quelli che hanno letto “Dialoghi con Leucò” lo hanno capito, non hanno capito cioè che è una sorta di baedeker. C’è un motivo -a volte razionale a volte inconscio- se la vita ha preso una direzione piuttosto che un’altra.

Il karma…

…lo hai detto.

Cosa ha significato per te il successo?

E’ stato un tramite, un medium per usare una parola colta (ride). Non lo puoi considerare come un traguardo. E’ quello che ti consente di lavorare e,dopo, di trovare ancora lavoro. Al di là del denaro. Personalmente non ho mai avuto il trip dei soldi.

Sei affamato di vita. Hai molto amato. Hai avuto mogli e figli. Ma il paesaggio è cambiato. Ha senso dire: per colpa delle circostanze?

Ne abbiamo parlato nella chiacchierata iniziale. Solo se, camminando spensierato, ti casca un mattone sulla testa puoi dire che è stata una cosa indipendente dalla tua volontà. Forse potremmo parlare di caso. E,a proposito di caso,te ne voglio raccontare una davvero divertente. Vengo premiato a Montreal per “Ligabue”. Artefice del premio è Alain Delon;lo chiamo per ringraziarlo e lui mi invita a Parigi. Bene,parto alla volta della Francia col mio Cherokee insieme alla moglie di un musicista. Faccio tappa nella mia città,a Torino, scendo al Sitea,lascio la macchina perché venga rimessa in garage e salgo le poche scale che portano alla concierge. Beh,chi ti incontro? Monica Vitti e il suo ultimo marito amicissimi di mia moglie e del marito! (risata fragorosa). Aspetta,non è finita qui. Arrivo a Parigi -ero ospite di Mario Moretti (aveva fondato il Teatro Tordinona,il Teatro in Trastevere e,da ultimo,era il direttore del Teatro dell’Orologio)- e Delon mi invita a cena a La Coupole. Serata magnifica. Ad un certo punto passa -a Parigi,proprio in quel ristorante!- il critico teatrale dell’ “Avanti!” Ghigo De Chiara e sua moglie amicissimi della mia!!! Ma si può?! Sembra ‘na barzelletta,da non credere! Insomma,pe’ famme ‘na scopata devo anna’ ‘n Cina, Cristo!Sempre meglio del mattone in testa, però…

Qual’è la persona che ti ha dato di più?

Beh, Elio Petri,senza alcun dubbio. A 26 anni divento protagonista di un film epocale (“La proprietà non è più un furto”) che rimane l’esperienza più importante per me. Io lo chiamavo er capoccione perché era geniale. Ma era pure un duro. Ahò, mio padre non m’ha mai messo le mani addosso, Elio invece menava de brutto. Ti precedo. Con Nocita che mi ha diretto in “Ligabue” non sono mai andato d’accordo. Era un uomo molto presuntuoso, un supponente. Elio invece era un fratello.

So come sia importante per te l’onestà intellettuale (e si spiega benissimo il tuo essere berlingueriano). Ma come te lo spieghi che molti italiani credano ancora a un pregiudicato come Berlusconi?

Perché siamo sostanzialmente un popolo poco pensatore, un po’ cialtrone. Saremo pure dei navigatori ma pensatori no. Siamo stati sempre affascinati ‘da quello che ce la racconta’. Un problema,anche,di immedesimazione. L’attore si cala nei panni del personaggio, la persona comune -che ha una vita comune, cadenzata da impegni fissi ed orari fissi- pensa :”Chissà che un giorno non potrò diventare ricco anch’io ed avere un sacco di donne…”

Qual’è il film -se ce n’è uno- che avresti voluto interpretare e che t’è sfuggito, il ruolo che avresti voluto incarnare e non t’è stato offerto?

Ti rispondo in modo tranchant :nessuno. Ho rivestito tutti i ruoli con entusiasmo. No,non ho rimpianti in questo senso. Magari, sì, un film volevo farlo e poi hanno scelto un altro. Ma poi c’ho dormito la notte, per dirtela in breve.

Vedendoti qui,oggi,mi sovviene Montale.

Qual’è il tuo rimpianto, ammesso che sia giusto parlare di rimpianti?

Vorrei dirti che no, che ti s’appressa / l’ora che passerai di là dal tempo(ride di gusto)…” Eppure, è come se non avessi ancora detto l’ultima parola.

Hai da poco doppiato il capo dei 70 anni. Consuntivi? Progetti?

Siete forse voi i più indicati a parlare del lavoro di un attore, a tirare una riga e dire:questo è andato bene,quest’altro meno. Il progetto è uno: continuare a lavorare,sempre,che è poi vivere.

Fumi come un turco e,quanto all’alcool, non ti risparmi (in verità assume un aperitivo alcolico prima di pranzo e un bicchiere di vino a cena,ndr). Come sei arrivato ai paradisi artificiali della cocaina?

Presto detto. E’ successo al “Derby”,il mitico locale della Milano ‘da bere’. Lo zio di un personaggio famoso (abbiamo tralasciato il nome per rispetto della sua privacy,ndr)cominciò una volta a metterne un poco su un 33 giri, una striscia circolare. Il disco andava,andava,e puoi capire. 5 grammi ogni volta di coca e una bottiglia di vodka.

Qual’è il ruolo da protagonista che manca al tuo palmarès?

Quello di un padre di famiglia con intorno moglie e figli, quello di un ‘protagonista’ della quotidianità, quello dove -al limite- volano anche i piatti. Tutto quello che mi manca nella vita reale.

Ci salutiamo con una sfuggente stretta di mano -troppo formale!- e accompagna il saluto non con la faccia da matto del pittore naȉf ma con il ghigno sagace di Franco Evangelisti ne “Il divo”. E,dopo aver preso un impegno di massima per una bouffe, ci viene naturale ,all’unisono, uno sghimbescio:”A fra’,che te serve?”.