Flat tax sì, ma a due velocità. Il tema che ha tenuto banco in campagna elettorale, uno dei pilastri del programma del centrodestra, inizia a delinearsi con più di una sorpresa.

La possibilità di un’operazione in due tempi, prima le imprese e poi le famiglie, annunciata dall’economista leghista Alberto Bagnai ha innescato un diluvio di reazioni e di critiche.

«Mi sembra che ci sia un accordo sul fatto di far partire la Flat tax sui redditi di impresa a partire dall’anno prossimo. Il primo anno per le imprese e poi a partire dal secondo anno si prevede di applicarla alle famiglie», ha spiegato Bagnai ai microfoni di Agorà.

Poco dopo a correggere parzialmente il tiro è stato il leghista Armando Siri, ideologo della Flat tax. «Allo stato attuale posso dire che non è vero che dal prossimo anno la Flat tax entrerà in vigore solo per le imprese, ma che ci sarà anche per le famiglie. Poi tutto sarà a regime per il 2020 – ha chiarito il senatore della Lega – si deve partire con degli step: il sistema è diverso perché la Flat tax per le imprese c’è già e noi la estendiamo anche alle società di persone, alle Partite Iva, eccetera… Si tratta – ha osservato – già di una riforma storica perché viene trasferito a cinque milioni di operatori quello che oggi è solo per 800mila imprese, visto che solo le società di capitali hanno la Flat tax. Poi per le famiglie cominceremo già dal 2019 con dei parametri che andranno a perfezionarsi nel 2020 fino a completarla».

Siri ha confermato che verrà data priorità alle famiglie con molti figli.

Quanto ai costi dell’operazione, in particolare del primo step che entrerà in vigore dal 2019, Siri ha osservato: «È una domanda da un milione di dollari. Costerà più o meno 30 miliardi di euro».

Il meccanismo di quella che si configura nel contratto di governo come una dual tax, che per le famiglie potrebbe avere quindi tempi diversi – con l’introduzione di alcuni parametri già dall’anno prossimo e il perfezionamento dell’impianto negli anni successivi, prevede due aliquote secche: una al 15 per cento per i redditi familiari fino a 80mila euro e una al 20 per cento per quelli superiori. Con una deduzione fissa di 3.000 euro sulla base del reddito familiare che sarebbe così applicata: per ogni componente del nucleo familiare fino a 35mila euro di reddito complessivo; solo ai familiari a carico nella fascia 35-50mila; nessuna deduzione per redditi superiori.

L’operazione dovrebbe costare nel complesso oltre 40 miliardi, dieci in più rispetto a quelli ipotizzati da Siri.

Ma l’ipotesi di un rinvio per le famiglie ha fatto esplodere la polemica e gli attacchi delle opposizioni. Da parte di molti esponenti del Partito democratico si ricorda come la Flat tax sui redditi di impresa esiste da molti anni.

Prima si chiamava Irpeg, e ora si chiama Ires e tassa proporzionalmente i redditi delle società di capitali.

Quanto ad averla ridotta i Dem non si sentono secondi alla Lega: «A tagliarla dal 27,5 al 24 per cento è stato il governo Renzi – rivendica tutto orgoglioso Luigi Marattin – . Nel caso il futuro sottosegretario Bagnai si riferisse, invece, agli utili di impresa delle società di persone, anche quella esiste già: si chiama Iri, e l’ha fatta sempre il governo Renzi», gongola. S

ulla stessa linea Tommaso Nannicini, senatore del Pd e già sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Renzi: «Certo, se per “cambiamento” s’intende annunciare provvedimenti già presi da altri possiamo quanto meno stare tranquilli che i guasti saranno limitati. Ma l’unica novità è semmai l’annuncio del rinvio alle calende greche della Flat tax per le famiglie».

All’attacco anche Forza Italia. «Sono chiacchiere che già disattendono il loro contratto e certamente disattendono il programma del centrodestra. Si stanno già suicidando», attacca Renato Brunetta ricordando che nel programma di centrodestra «c’era la sterilizzazione dell’Iva e la Flat tax da subito a un’aliquota, al 23 per cento».

«La Flat tax è come un Robin Hood al contrario. Un regalo ai più ricchi a spese dei più poveri. I 50 miliardi che servono verranno tolti a sanità e scuola pubblica che sono già al limite», sintetizza Roberto Speranza di Liberi e Uguali.