Non potrebbero essere più lontani per atmosfere e scenari evocati, eppure sarebbe difficile non scorgere, al di là delle divergenze apparenti, una sorta di sguardo condiviso tra le storie proposte da una delle firme più note del polar e da un autore italiano al suo esordio.

PERCHÉ Nulla ti cancella di Michel Bussi (e/o, pp. 460, euro 16,50, traduzione di Alberto Bracci Testasecca) e La stazione di Jacopo De Michelis (Giunti, pp. 870, euro 19,00) – Bussi sarà oggi a Libri Come a Roma (ore 14,30, Sala Garage, con Fabio Gambaro) – introducono con approcci diversi all’interno dei meccanismi d’indagine intorno ai quali ruotano i loro romanzi, il medesimo elemento.

Qualcosa che più che al mistero sembra rimandare esplicitamente al fantastico o a ciò che Edgar Alla Poe aveva sintetizzato in una celebre frase: «Coloro che sognano di giorno conoscono molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte. Dalle loro visioni captano sprazzi d’eternità». Una tendenza non nuova, se si pensa all’inquietudine in tal senso che pervadeva già l’opera di Arthur Conan Doyle, malgrado l’armamentario ispirato al positivismo cui fa ricorso il suo Sherlock Holmes, ma che ora si sta definendo compiutamente all’incrocio tra generi e stili, codici e linguaggi, basti pensare alla nota Trilogía del Baztán di Dolores Redondo, campione di vendite prima di trasformarsi in un successo globale attraverso i tre film che ne ha tratto Netflix.

IN QUESTO CASO, il tema è nientemeno che quello della reincarnazione nella vicenda raccontata dallo scrittore francese che vede una giovane madre single inseguire le tracce del figlio scomparso dieci anni prima da una spiaggia scossa dal mare in burrasca sulla costa del Paese Basco francese. Da Saint Jean de Luz ad un paesino dell’Auvergne, passando per la Normandia, Maddi, questo il nome della donna, cercherà di fare chiarezza prima di tutto dentro di sé mentre si sforza di comprendere se il piccolo che ha incontrato proprio là dove aveva perso il suo Esteban, quel Tom che sembra esserne la copia esatta, sia davvero suo figlio: un figlio rimasto però incredibilmente intrappolato nel corpo del ragazzino che era dieci anni prima.

«Ho pensato fosse stimolante indagare la possibilità che ciò che siamo non venga soltanto dal nostro Dna, bensì da un altro tipo di eredità, dalle caratteristiche e dalle emozioni che giungono a noi dalle nostre vite precedenti. Anche se la soluzione della storia interroga più il pensiero razionale che questo tipo di ipotesi», ha spiegato lo stesso Bussi all’Express al momento dell’uscita francese del romanzo.

IN FONDO, sembra saperlo anche Maddie che si domanda ancora perché, il giorno in cui suo figlio è scomparso dalla spiaggia, lei non si è voltata, seguendolo con lo sguardo, mentre lui si incamminava verso la strada per andare a comprare, come d’abitudine, la baguette per la colazione. «È per questo che inventiamo i rituali? Per tranquillizzarci, avere il controllo su tutto, convincerci che non possono succedere incidenti perché facendo sempre lo stesso percorso ci crediamo al sicuro? In realtà, per pura pigrizia, non facciamo altro che abbassare la guardia, abbassare il livello di vigilanza e sottrarci alle responsabilità».

Diverso il contesto nel quale Jacopo De Michelis introduce il tema del «dono» di cui è dotata Laura, una delle protagoniste de La stazione. La ragazza è in grado di percepire ciò che prova chi si trova intorno a lei, il che non è sempre piacevole, specie se sei una giovane donna che attira gli sguardi insistenti e i tentativi di approccio dei maschi: riuscendo a leggere fino in fondo ciò che si cela dietro quelle attenzioni indesiderate, lei non sembra potersi difendere, le pulsioni e il desiderio degli altri la invadono quando è vittima di quelle che sua madre si ostina a chiamare «crisi». Eppure Laura saprà trasformare questa attitudine che tanto la spaventa in uno strumento decisivo per fare luce su un mistero sanguinoso che grava sulla città di Milano. Lo farà accanto all’ispettore Riccardo, «Cardo», Mezzanotte, uno sbirro dotato di morale che ha pagato il fatto di aver rivelato la corruzione di numerosi colleghi con il trasferimento dalla Omicidi alla Polfer.

L’INCONTRO TRA I DUE, alla stregua delle numerose storie che nel romanzo si dipanano da un nucleo comune come binari che scorrono paralleli e che proprio per questo non sempre sono destinati ad incontrarsi – come la violenta conquista di un Intercity da parte degli ultrà romanisti, e neofascisti, con cui si apre il libro -, avviene alla Stazione Centrale. Uno spazio che a sua volta sembra racchiudere una presenza misteriosa, quasi una vasta porta d’accesso all’oscurità, «sui cui spalti torreggiavano due mastodontici cavalli alati di pietra con accanto i loro palafrenieri».
La scia di sangue che conduce ai segreti della Stazione, celati nei suoi sotterranei, a quello che Giorgio Scerbanenco definiva, in una bella frase posta non a caso da De Michelis in esergo al romanzo, «un pianeta a sé, come una riserva di pellerossa nel mezzo della città», parte da una strage di animali, insensata quanto crudele, per sfociare nelle indagini su un killer seriale che sembra ispirarsi alla favola tragica di Barbablù, ma interroga anche la memoria rimossa dell’orrore e dei crimini collettivi del Novecento: i treni che da lì conducevano ebrei e oppositori politici del nazifascismo ai campi della morte di Auschwitz, Bergen-Belsen, Ravensbrück e Flossenbürg.

Sia Maddie che Laura, non a caso due donne al centro di una lotta per la verità e la giustizia, prima ancora che per la soluzione di un crimine, sanno bene che ciò che sta accadendo loro interroga irrimediabilmente tutti noi. Come comprende la protagonista de La stazione quando le figure, per altro ancora una volta due bambini, che insegue nei sotterranei dell’edificio, svaniscono d’improvviso e «con loro l’ultimo barlume di consapevolezza che permetteva a Laura di distinguere le emozioni estranee che divampavano in lei dalle proprie. Quella sofferenza adesso era in tutto e per tutto la sua sofferenza, quella tristezza la sua tristezza, quel terrore il suo».