Fiumi giapponesi, ponti fra cielo e terra
La «Pietra del bue» e la statua di Hikoboshi al santuario per la leggenda dell’amore fra la divinità Hikoboshi e la principessa Orihime – foto di Yuki Seli
Cultura

Fiumi giapponesi, ponti fra cielo e terra

LUNGO GLI ARGINI / 9 Per i maestri dell’ukiyoe (immagini del Mondo fluttuante) Hiroshige e Hokusai erano assoluti protagonisti. Luoghi chiave, caratterizzavano le scelte nello spostamento lungo la «Via del mare orientale» che collegava la capitale imperiale Kyoto a quella amministrativa di Edo. Sintetizzati in fasce blu appiattite, i corsi d’acqua attraversano le pianure, mentre centinaia di minuscole figure umane li guadano nei punti più bassi, carichi di merci
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 23 agosto 2022

Kawa, pronunciato anche gawa quando utilizzato come suffisso nei nomi composti, è il carattere cinese (kanji) adottato dal sistema di scrittura giapponese per indicare il «fiume»; la forma del pittogramma infatti, composta da tre tratti paralleli verticali di cui l’ultimo a sinistra leggermente ricurvo a formare una dolce ansa, evoca in forma semplificata lo scorrere dell’acqua.

Dalle famose serie di silografie policrome dei vedutisti ottocenteschi dell’ukiyoe (immagini del Mondo fluttuante), come Hiroshige e Hokusai, emerge come i fiumi fossero centrali nella vita del Paese che, sotto il governo dei Tokugawa, subì una spinta enorme nello sviluppo urbanistico, sociale ed economico sia a livello provinciale sia cittadino.

La serie delle Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, uscita in più edizioni a partire dalla prima e più raffinata di Hiroshige del 1833 per l’editore Hoeido, ma anche le Trentasei vedute del monte Fuji di Hokusai, realizzate tra il 1830 e il 1832, propongono ripetutamente il soggetto del fiume in quanto luogo chiave che caratterizzava le scelte nello spostamento lungo la «Via del mare orientale» che collegava la capitale imperiale Kyoto a quella amministrativa di Edo (l’attuale Tokyo) stabilita nel 1603.

VEDUTE A VOLO D’UCCELLO di indicibile modernità colgono i corsi d’acqua sintetizzandoli in ampie fasce blu appiattite che attraversano le pianure, mentre processioni di decine e centinaia di minuscole figure umane li guadano nei punti più bassi, carichi di merci, bauli, con cavalli al seguito e portantine in spalla: sono i grandi signori delle province, i daimyo, impegnati con il loro seguito negli spostamenti tra le residenze locali ed Edo, obbligati da un rigido sistema di residenze alterne a portare gli omaggi allo shogun.

Le Cento vedute di luoghi celebri di Edo di Hiroshige raccontano una Edo (Tokyo) di metà Ottocento modernissima e alla moda, la cui vivacità dipendeva dalla ricchezza dei corsi d’acqua, così come anche la sua sicurezza (gli incendi erano la causa principale di distruzione in una città tutta costruita di legno perciò l’acqua significava salvezza): al centro della città, il castello di Edo è riconoscibile per l’ampio fossato che lo avvolge; tanti sono i fiumi che attraversano la città sfociando nella baia e mostrando una ricca attività di trasporto di merci, intuibile dalla quantità di imbarcazioni che si incrociano, dalle infilate di magazzini e dai mercati attivi lunghe le sponde.

Anche il trasporto di genti è testimoniato dai traghetti dedicati all’attraversamento dei fiumi, dalle barche coperte e illuminate dalle lanterne in cui banchettare o intrattenere segreti incontri amorosi in brevi gite fuori porta. I fiumi sono spesso rappresentati da punti di vista insoliti, da sopra e sotto i ponti, come luoghi di raduno durante le festività: il ponte di Ryogoku è associato al godimento della frescura serale e alla folla radunata per i fuochi d’artificio estivi sia sulle imbarcazioni sia sopra il ponte; Nihonbashi, il «ponte del Giappone», è invece simbolo connotato politicamente ed economicamente perché considerato il punto di partenza di tutte le vie che attraversavano il Paese.

IL GRANDE FIUME SUMIDA poi, con il suo alto «argine del Giappone» (Nihontsutsumi) e i tanti punti d’attrazione lungo il percorso è considerabile un po’ come la piazza di Edo ed è forse tra i soggetti più rappresentati, poiché via acqua o via terra si poteva raggiungere in anonimato anche il quartiere di piacere di Yoshiwara. Tra le vedute più famose di Kyoto compaiono il fiume Kamo e il ponte di Sanjo nel cuore della città a rappresentare l’arrivo del Tokaido, mentre traghetti e barchette da escursione sono un tutt’uno con le vedute del fiume Katsura nella zona di Arashiyama durante la fioritura dei ciliegi.

C’è però anche un filone di stampe ukiyoe in cui i fiumi non sono affatto associati al piacere e all’estetica urbana, ma diventano parte di un’iconografia dedicata alle grandi battaglie tra i clan guerrieri rivali che si sono affrontati per il dominio del Paese. Immagini codificate e tramandate nei secoli, fino ad essere immediatamente identificabili grazie al talento di maestri ukiyoe specializzati in stampe di guerrieri (mushae) ed eroi come Kuniyoshi, Kunisada, Yoshitoshi, Yoshitora.

Tra gli 800 eroi del Suikoden Kuniyoshi ritrae Hayakawa Ayunosuke, mentre con il torso scoperto e completamente tatuato si immerge nel salto del fiume dove la corrente è più turbolenta nel tentativo di intrappolare i pesci ayu a mani nude. Hayakawa significa appunto «Fiume veloce».

DEL 1180 È LA BATTAGLIA di Fujigawa, alle pendici del monte Fuji nella provincia di Shizuoka da cui prende il nome anche il fiume, mentre è del 1184 la battaglia di Ujigawa a Kyoto; entrambe sono ricordate tra quelle storicamente più significative, poiché fanno parte della serie di scontri che culminarono nella guerra Genpei del 1185 in cui si affrontarono il clan dei Minamoto e quello dei Taira ponendo fine all’epoca imperiale Heian e inaugurando il nuovo potere della classe samuraica.

Di altra epoca, ma sempre associate all’iconografia del fiume e come tali tramandate nei rotoli, nei paraventi e nelle stampe di epoca Edo, sono le battaglie del XVI secolo che videro i grandi condottieri Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu schierarsi e scontrarsi per unificare il Giappone sotto il proprio potere. Famosa è la rappresentazione della battaglia del fiume Imjin del 1592 nel primo tentativo di invasione della penisola coreana da parte di Hideyoshi.

IN GENERALE LE SILOGRAFIE policrome dedicate a questi soggetti presentano composizioni simili: a parte identificare con la presenza del Fuji o del ponte di Uji le precise località, sono trittici che hanno come sfondo il blu del fiume, dalle cui acque o lungo le cui sponde emergono in primo piano gli eroi delle due fazioni che, armati di tutto punto e riconoscibili dalle armature, dagli elmi, dagli stemmi e dai simboli delle vesti, si affrontano a cavallo affiancati dai loro fedelissimi. Quanto questa iconografia sia diventata parte dell’immaginario collettivo e sia stata reinterpretata a livello locale lo dimostra uno straordinario stendardo orizzontale dipinto di circa dieci metri di lunghezza, parte di una coppia di manmakue commissionati probabilmente da un gruppo di giovani affiliati a un santuario shintoista dell’area del Kyushu nell’anno 21 dell’era Meiji, cioè nel 1881, come riporta la calligrafia a bordo degli stessi.

Destinato a racchiudere uno spazio o a fare da sfondo durante un festival o uno spettacolo, in dimensioni imponenti e con forme deformate ed esagerate, uno dei banner riprende, utilizzando le tecniche di tintura e coloritura tessile tramite l’uso delle mascherine, l’iconografia classica dei due cavalieri che combattono sulla sponda di un fiume che scende a valle in piccole cascatelle. Probabilmente la pittura fu affidata a un pittore-tintore tessile locale che, pur prendendo ispirazione dalla ben nota grafica dei maestri ukiyoe di fine Ottocento, poteva permettersi di reinterpretare il tutto per adeguarsi alla committenza locale, al punto da sostituire, se necessario, le figure degli eroi famosi con riferimenti ai personaggi eminenti del villaggio o del territorio, in bilico tra lo spirito sacro e quello profano dei santuari shintoisti degli anni successivi alla restaurazione Meiji.

MA A CONNETTERE IL MONDO degli umani a quello degli dei, tra tutti i fiumi che scorrono nelle province del Giappone ce n’è uno il cui nome accompagna dalla geografia della Terra (chi) all’immensità del Cielo (ten). È il fiume Amanogawa che scorre tra Kyoto e Osaka, che pur non rappresentando un’attrattiva dal punto di vista turistico, è affascinante poiché porta un nome traducibile sia come «Fiume dolce», forse per l’acqua considerata buona per l’irrigazione del riso in tempi passati, sia come «Fiume (gawa) del Cielo (ama)», lo stesso appellativo con cui ci si riferisce alla Via lattea. Visualizzabile come un corso argenteo che attraversa il Cielo, viene anche chiamata Ginka, dove gin significa «argento» e ka è un’altra lettura del carattere di «fiume».

Proprio a questo Fiume del Cielo è legata una delle leggende e delle storie d’amore più belle dell’Asia orientale, celebrata in Giappone come Festa delle Stelle nella ricorrenza estiva di Tanabata, cioè nella «settima notte» (tanabata) del settimo mese del calendario lunare. In questa occasione si affidano al Cielo i propri sogni e desideri scrivendoli su piccole striscioline di carta colorate appese a ramoscelli. La storia è quella delle divinità Hikoboshi, «Stella maschile», anche chiamata Kengyusei, «Stella che trattiene il bue» e corrispondente ad Altair, e Orihime, la «Principessa che tesse» corrispondente a Vega: amanti divisi dal Fiume del Cielo è concesso loro di incontrarsi solo una volta l’anno.

Nei pressi del fiume Amanokawa nella città di Katano a Osaka, a sancire il culto legato a queste due divinità, c’è il santuario shintoista Hatamono jinja, letteralmente «santuario delle cose tessute», dove hata è lo stesso carattere di ori che compone il nome di Orihime e, all’interno, vi è collocato un telaio, mentre un masso di pietra in forma di bue e una meno evocativa statua di una giovane figura maschile, affiancata da un bue, rappresentano simbolicamente Hikoboshi.

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