La scissione più prevista e annunciata della storia della destra italiana si è puntualmente consumata ieri. Raffaele Fitto se ne è andato. Lo hanno seguito 12 senatori e una quindicina di deputati sono pronti a farlo. Al Senato, dove i numeri per il gruppo ci sono, è stata eletta Cinzia Bonfrisco, una delle dirigenti più importanti del partito azzurro. «Col gruppo dei Conservatori vogliano cambiare profondamente il centrodestra. Siamo all’opposizione, alternativi a Renzi e vogliamo le primarie». Come dichiarazione programmatica per riunificare, cambiare e rendere di nuovo competitiva la destra italiana, qualcosa di più povero è difficile immaginarlo. Peraltro nel nuovo gruppo, che scinde per riunificare, quattro senatori già scalpitano scontenti: quelli che rispondono al siciliano Salvatore Romano, dirigente di qualche peso non solo nell’isola.

Se la scelta di Fitto, che per ricucire strappa, può sembrare strana, quella di Berlusconi non lo è di meno. Ufficialmente l’ex Cavaliere non commenta: per Fitto sarebbe troppo onore, e poi lui ha cose più importanti a cui pensare, come la cena con Galliani sul Milan. La reazione a porte chiuse però la fa trapelare. Un bel sospirone di sollievo accompagnato da un secco: «Era ora». In effetti era da un pezzo che Berlusconi e il suo magico cerchietto facevano l’impossibile per spingere il recalcitrante pugliese verso la porta d’uscita. Sempre in nome della necessità inderogabile di unificare i moderati, naturalmente.
In realtà non c’è forse osservatorio migliore del Senato, oggi, per rendere l’idea di quale formicaio impazzito sia la destra italiana. Fi ha subito due scissioni, ma ciò non basta a renderla almeno una forza compatta. Basti dire che il senatore forse più critico e combattivo contro la politica berlusconiana nei mesi del Nazareno, Augusto Minzolini, è rimasto col capo senza seguire Fitto, e come lui altri. L’uscita di due Popolari dalla maggioranza, incluso l’ex berlusconiano Mauro, mette in campo un altro spezzoncino di destra, alla quale bisogna aggiungere le varie anime presenti nel Gal, una sorta di gruppo misto di centrodestra, con dentro un po’ di tutto. I Conservatori di Fitto sono agitati dal braccio di ferro tra il capo e Romani. L’Ncd di Alfano è tenuto insieme solo dal bisogno di difendere i minsteri, pardon l’interesse nazionale.

L’uscita di Mauro, peraltro, dovrebbe essere propededutica a un’ulteriore scissione, quella dei verdiniani. In realtà nessuna decisione è stata presa e il passo verrà fatto solo se al momento di votare la riforma del Senato ogni singolo voto (Verdini non ne controlla più di tre, e uno è indeciso) si rivelerà indispensabile per Renzi. E a quel punto la terza e la più mini tra le scissioni di Fi potrebbe persino essere benedetta, in privatissimo, da Berlusconi: molto meno pericolosa del rischio di correre al voto anticipato dopo la bocciatura della riforma. Sempre per dare l’idea del caos che imperversa nell’un tempo inespugnabile maniero azzurro, Stefano Caldoro, governatore uscente e sconfitto della Campania, sta seriamente pensando a candidarsi alle primarie, se mai ci saranno, contro Salvini. In fondo, dice, «ho preso più voti io di Toti».

Sarà una coincidenza se, in questo caos, l’unico leader che prende voti, Matteo Salvini, è quello che, come Grillo e Renzi, ha messo da parte l’ossessione unitaria per scommettere su quella identitaria?