Il film sta per finire. C’è una pausa di qualche secondo sull’ultimo shot e poi un lento ‘fade to black’. Non sono ancora comparsi i crediti, quando si fanno sentire i primi ‘booooo’. A volte l’applauso e i fischi arrivano simultaneamente, quasi a lottare l’uno contro l’altro; altre volte l’applauso vince la gara e i boo si dividono tra quelli a cui non piace il film, e quelli che non sopportano che venga applaudito. Poi c’è la versione dei fischi più coraggiosi, più espressivi, e questi rappresentano il top. Non sono da considerarsi dei boo in senso stretto. Mi riferisco a quei tipi che aspettano il silenzio dell’inquadratura finale e giocando d’anticipo su tutti gridano il loro: ‘Vergogna!’ ‘È una m****!’ ecc. Si tratta sempre di uomini; sempre di una certa età; non hanno paura; per niente timidi e molto concisi. Quest’anno si è visto un notevole incremento dei fischi e dei ’boo’ a Venezia. Non so spiegarmi il perché. Forse i film non erano così belli. Forse era dovuto al fatto che il Festival del Cinema di Venezia si è visto portar via la scena da Toronto, e quando ci si accorge che nessuno ascolta, si alza il volume. Forse la diminuzione nel numero di giornalisti stranieri ha dato coraggio a coloro che amano giocare in casa. Non succede dappertutto. La Sala Darsena è l’arena preferita, la più grande, dove c’è più gente, e offre il vantaggio di una bella eco cavernosa. Remember di Atom Egoyan è stato fischiato in modo forte alla Darsena ma invece in Sala Grande applaudito fino alle stelle A dire il vero il film non meritava nè l’uno né l’altro. Poi ci sono film ambiziosi come Childhood of a Leader, che ha diviso la sala e ha fatto sentire subito il bipolarismo critico, nonostante il fatto che gli attori, incluso il bambino protagonista, fossero presenti alla proiezione. I film italiani rischiano di essere fischiati di più. Hanno nemici giurati in sala già dall’inizio. Diventa quasi un rito di iniziazione per un film di debutto come L’Attesa di Piero Messina. E infine ci sono quei film che sono dei veri disastri, per esempio il sud-africano The Endless River, che fa arrabbiare anche se il regista ha talento e, presumo, non abbia fatto un film brutto così … per cattiveria. Fischiare questo genere di fallimento è come fischiare un incidente stradale.

La prima volta che ho partecipato alla Mostra del Cinema di Venezia tanti anni fa mi colpì molto l’accoglienza rumorosa dei film. Rappresentava per me il fatto che gli spettatori prendevano l’opera sul serio e si sentivano parte del festival. Questo succede anche ad altri festival, come Cannes per esempio. Rendeva l’atmosfera vivace, frizzante e, prima della comparsa di Twitter, era anche il modo di registrare in maniera forte ed immediata l’umore e le prime reazioni della critica. Naturalmente, io provengo da una tradizione critica britannica, con più riserbo o, se si preferisce, freddezza. E allora dobbiamo tradurre. Quando gli italiani gridano: ‘che schifo’, noi diciamo sottovoce: ‘non era bello’. Noi sospiriamo con ironia: ‘non è di certo il regista più grande del mondo’, voi urlate: ‘Incompetente!’ ‘Potrebbe essere meglio’ in italiano viene tradotto con ‘Una ca**ta!’ Ma così rischierei di cadere negli stereotipi e di meritarmi dei fischi anch’io.