Nella Carta costituzionale l’istituto del referendum fu pensato anche come contrappeso all’inazione del Parlamento su determinati temi. Ed è esattamente il caso delle leggi sugli stupefacenti, e in particolare sulla cannabis. Oggi, infatti, ci ritroviamo con una legge vecchia di trent’anni a contrastare un fenomeno che nel frattempo è cambiato in tutto e per tutto: per le mafie che lo gestiscono, per le sostanze che circolano, per le abitudini di consumo. In questo scenario il referendum rappresenta l’unica occasione di uscire dall’impasse. L’occasione si è presentata nell’agosto del 2021 quando un emendamento al Decreto Semplificazioni proposto dal deputato Riccardo Magi ha introdotto la possibilità di firmare con firma digitale (Spid) i referendum. Una conquista arrivata in seguito alla condanna dell’Italia da parte del Comitato diritti umani dell’Onu proprio per gli «irragionevoli ostacoli» a cui la nostra legge subordinava la possibilità di promuovere referendum d’iniziativa popolare.

Così, per la prima volta nella storia della Repubblica, in soli 7 giorni – dall’11 al 18 settembre – si è raggiunto il numero di firme necessarie a convocare un referendum. Con picchi incredibili di 32 firme al secondo. A sottoscrivere la proposta sono stati soprattutto giovani: il 75% ha meno di 35 anni. Si tratta della stessa fascia di cittadini che molto spesso si tiene lontana dalle urne. Un tale evento è passato però perlopiù inosservato da partiti e giornali di destra che hanno riproposto solo argomentazioni proibizioniste. Le reazioni dei grandi partiti progressisti e di alcune testate di riferimento si sono concentrate invece soprattutto sul tema della «spid democracy». Sul fatto, cioè, che in questo modo sarebbe stato troppo facile indire referendum, che questo avrebbe rappresentato un rischio per la democrazia, che bisognava interrogarsi su come limitarli. L’onorevole Stefano Ceccanti del PD, per esempio, in due giorni ha presentato ben due proposte per alzare la soglia minima di firme necessarie.

Queste teorie, però, sono state presto smentite dalla prova dei fatti: nessuna delle altre raccolte firme in corso per altri referendum – caccia, giustizia, green pass – ha raggiunto un risultato simile a quello concernente la cannabis. E autorevoli costituzionalisti sono intervenuti salutando con favore la possibilità della firma digitale. «Se il progresso tecnico consente di raccogliere le firme in modi più semplici, non bisogna opporsi ad esso – ha rilevato Sabino Cassese – Tanto più che in questo caso, il progresso tecnico consente di ampliare la partecipazione popolare nella fase dell’iniziativa del referendum, un ampliamento che è sempre auspicabile, se vogliamo esser buoni democratici».

Insomma, di maggiore democrazia non è mai morto nessuno, mentre di meno democrazia sì. E la prova democratica che i cittadini italiani hanno dato convocando questo referendum è senza precedenti ma ha indicato una nuova via che speriamo possano seguire in molti.