La lana, il tessuto casalingo che resta relegato tra le pareti domestiche, prende la porta e esce per la strada. Poco usato dagli stilisti diventa improvvisamente elegante e raffinato, perfetto per maglioni, vestiti, cappotti. Righe, righe, righe.

Gialle, rosse, blu, arancione, azzurre, rosa, ma sempre su fondo nero, il colore fétiche della stilista. La fama di Sonia Rykiel comincia con una copertina di Elle, dove è fotografato un maglioncino grigio che aveva fatto più volte il viaggio Parigi-Venezia per essere modificato più volte, ora allungandolo, ora stringendolo seguendo le istruzioni di Sonia. Suo marito Sam Rykiel possedeva allora il grande magazzino di abiti «Laura» nel XIV arrondissement sulla via che portava all’aeroporto d’Orly, e spiega in parte, la rapidità della diffusione di questo primo mitico pullover.

Il settimanale, che arriva anche negli Stati Uniti, ne decreta la fama internazionale. Il suo stile particolare, intriso di suggestioni marinare, di abiti larghi oversize, capaci di esaltare le linee e la femminilità di ogni donna, ma anche di pantaloni dal taglio maschile o fluidi, con l’immancabile basco alla marsigliese, richiama l’identità e il carisma della stilista.

Le mannequin che calcano le passerelle delle sfilate sono delle donne vive che sorridono. «È la donna che anima l’abito. Non può essere il contrario. La provocazione è la donna, mai quello che indossa», sono parole di Sonia che oltre a inventare abiti ha scritto parecchi libri. La grande chioma rossa con la frangia che le copre la fronte arrivandole a sfiorare i grandi occhi scuri la rende subito riconoscibile, parte integrante della sua personalità. Il volume Talisman à l’usage des mères et des filles, appena uscito in Francia, è l’omaggio che sua figlia Natalie le dedica con tutto il suo amore.

Hanno vissuto insieme, non è passato giorno senza vedersi, senza telefonarsi, preoccupandosi sempre l’una dell’altra. Sonia pretendeva che la figlia le restasse vicina anche quando, sposata, doveva dedicarsi alla sua famiglia, talmente era gelosa e possessiva. E, nonostante questo, la donna più libera che si conoscesse, con i suoi amori, le sue amicizie, le sue passioni non riusciva a lasciare la figlia libera. Però è stato proprio l’amore incondizionato della madre che le ha dato la forza di diventare se stessa. Di essere lei, differente dalla madre anche nel lavoro.

Nel libro Et je la voudrais nue… Sonia scrive: «Ho capito l’importanza della complicità tra vestito e corpo». Il suo rapporto con i vestiti è sempre stato un rapporto di forza, ha sempre voluto superarlo, demolirlo, rimuoverlo. Voleva che il suo corpo trionfasse su questa copertura colorata che aveva l’audacia di accarezzarlo. Solo più tardi ha fatto la pace con la parte che ci copre. Indossare un nuovo vestito allora è stato come rinascere ogni volta.

Sonia che non aveva mai avuto un buon rapporto con sua madre, che era attorniata solo da sorelle, a sei anni scopre il padre. Un uomo grande, grosso, con dei calzini bianchi. La colpiscono i suoi occhi, lo sguardo che la segue, la protegge. Scopre la complicità. Ama essere donna per il potere che le dà, per la possibilità di avere figli. Quando resta incinta vive la maternità nell’estasi, indifferente al resto del mondo. Porta il suo ventre, il suo seno gonfio, come una bandiera. Quando nasce la bambina è messa al contrario, escono prima i piedi.

Ma questa difficoltà, è accresciuta dal fatto che non vuole lasciarla andare. Le fanno di tutto, le dicono di tutto, ma lei non vuole, non spinge, non apre le gambe. Vuole tenerla, non vuole che esca. Alla fine l’addormentano per farla stare zitta. Più facile la nascita cinque anni dopo di Jean-Philippe, nato cieco che diventerà un compositore e cantante famoso.

Di madre ebrea russa e di padre rumeno, si sente slava dalla testa ai piedi. Sonia Flis, ma conserva il cognome del marito anche quando divorzia. Nasce a Parigi il 25 maggio 1930. All’inizio degli anni Sessanta si impone un nuovo tipo di moda quando l’economia domestica, dopo la povertà del dopoguerra, che costringeva le donne a ritagliare i modelli di carta pubblicati sulle riviste per confezionarsi gli abiti da sé, può permettersi di comperarli già fatti.

Nasce il prêt-a-porter. Gli abiti non sono più modelli unici ma si confezionano in serie, in diverse misure. Naturalmente fa eccezione l’haute couture. Nel 1962 Sonia comincia a disegnare i suoi celebri bozzetti. Schematici, tratteggiati con grosse linee, più quadri che illustrazioni di abiti, strani, ironici, sempre in colori violenti, danno solo l’idea di quello che sarà effettivamente il risultato.

Sei anni più tardi si trasferisce al numero 6 di rue de Grenelle e ben presto è la protagonista indiscussa della Rive Gauche. Saint-Germain degli anni Settanta, centro creativo del momento, luogo di attività artistiche e culturali, dove si accalca il jet-set internazionale. Andy Warhol abita in rue du Cherche-Midi, David Hockney lascia Londra per la cour de Rohan, Shirley Goldfarb frequenta il caffè Flora, dove Roland Barthes si reca spesso alle diciannove di sera. Il negozio Givaudan sul boulevard Saint-Germain diffonde i primi dischi funk e le riviste underground newyorkesi, i magazzini Kashiyama espongono le creazioni di Jean-Paul Gaultier, i modelli di Karl Lagerfeld per Chloé sono in vetrina in rue de Gribeauval. E la boutique Rykiel, mescolando i libri ai primi modelli, riflette la volontà di incrociare i generi. Di aprire nuovi spazi, di definire nuove immagini del corpo, di affermare il potere della seduzione, la sensualità dei materiali. Una paradossale mescolanza di costruzione intellettuale e gioia di vivere.

Nel 1973, Sonia è eletta vice-presidente del Sindacato destinato a difendere gli interessi degli stilisti, a regolare l’alternarsi delle presentazioni e delle sfilate. Ricopre quest’incarico con la consueta serietà e la coscienza di proteggere la categoria di cui fa parte. Mentre Elle le dedica una serie infinita di copertine, la sua fama arriva agli artisti, dopo aver appena ricevuto la Legion d’Onore. Nel 1980 Dominique Issermann la fotografa con il volto di tre quarti, le braccia incrociate che abbracciano il busto nudo, una sigaretta tra indice e medio, un ginocchio velato dalla calza nera in primo piano. Posa per Andy Warhol.

È così famosa che Robert Altman la fa interpretare se stessa nel suo film Prêt-à-Porter. Quando il brand passa alla figlia Natalie, che era stata fotomodella e poi anche lei scrittrice, non si ritira, ma apre nuove boutique a Boston e New York. Nel suo ultimo libro N’oubliez pas que je joue racconta il suo dolore quando scopre di essere affetta dalla malattia di Parkinson, che riesce a nascondere per quindici anni, nonostante sia sempre più difficile usare le mani con l’intensità con cui aveva costruito i suoi modelli. Qualche anno prima aveva scritto Paris sur le pas de Sonia Rykiel, una passeggiata per la città, quasi un‘agenda di indirizzi dei suoi ristoranti preferiti, delle gallerie d’arte, dei musei, dei giardini. Inventa dodici favole Tatiana Acacia, dedicato alla nipotina Tatiana. Muore a Parigi il 25 agosto 2016.