Tra le minacce dell’Unione europea, di sanzioni mirate contro chiunque si fosse reso responsabile di frenare i pur fragilissimi tentativi di un accordo di pace, e sulla scia di quelle recentemente applicate degli Stati uniti, è stato firmato venerdì scorso un accordo di cessate il fuoco tra l’attuale presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar.

La cerimonia svoltasi presso il palazzo presidenziale di Addis Abeba ha ospitato così il primo faccia a faccia tra i due, dopo lo scoppio delle violenze a dicembre scorso. Violenze tramutatesi poi in una guerra civile con gravissime conseguenze sulle popolazioni locali.

Una guerra per il potere che ha esacerbato le tensioni tra la comunità etniche dei Dinka di Kiir e dei Nuer di Machar a cui si era tentato di porre termine già a gennaio scorso con un cessato il fuoco, collassato però nel giro di pochi giorni (con entrambe le parti che si accusavano a vicenda di continuare i combattimenti).
Forte la pressione internazionale per il raggiungimento di una tregua. Pressione che ha visto la scorsa settimana la visita sia del segretario di Stato Usa John Kerry sia del segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki –moon sotto la spinta generalizzata di leader mondiali e regionali e sull’onda dei timori di un nuovo Ruanda a vent’anni dal genocidio avvenuto sotto gli occhi del mondo delle popolazioni Tutsi e Hutu.

L’accordo prevede la formazione di un governo di transizione nazionale – che non è ancora chiaro da chi sarà guidato – che porterà il Paese alle elezioni del 2015. Entrambi i firmatari sono stati esortati ad aprire strade e fiumi per rendere possibile l’invio di aiuti alimentari a una popolazione in ginocchio e in preda al rischio fame dopo 5 mesi di conflitto che ha fatto circa 1 milione e mezzo di sfollati e migliaia di morti.